lunedì 29 settembre 2008

DA "CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA'" (4° parte)

Le strane amicizie di Antonio Di Pietro

Di Pietro e D’Adamo: i fatti non lasciano spazi a dubbi: Fra i due un legame c’era e era un legame forte. Non ci sono dubbi neppure sulla “beneficenza” che Di Pietro ha ricevuto da D’Adamo in termini di prestiti senza interessi e senza condizioni per la loro restituzione, di auto, case, telefonini, vestiti, alberghi, biglietti aerei e via dicendo. E ciò rende plausibile che l’imprenditore potesse parlare liberamente con il suo amico magistrato e quindi prospettargli anche l’opportunità di avere un occhio di riguardo per colui, Pacini Battaglia, che così munificamente gli veniva incontro in un momento di grave crisi delle sue crisi commerciali. E questa – si badi bene – è soltanto un ipotesi riduttiva, valida se proprio si vuole dubitare su quanto affermato dall’ingegnere, e cioè che sia stato proprio Di Pietro ad indirizzarlo al banchiere, in quanto, presso di lui, avrebbe trovato “porte aperte”.
Di Pietro e Pacini Battaglia: l’indagine della Procura milanese a carico del faccendiere italo-svizzero venne gestita in maniera quasi esclusiva dal sostituto procuratore Antonio Di Pietro: I fatti ci dicono molte cose. Ad esempio che, nell’ambito di questa conduzione personalizzata:
- Pacini Battaglia, pur raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare, non soffrì alcuna carcerazione;
- Lo stesso Pacini acquisì lo “status” di collaboratore d’ufficio guidato da Di Pietro, ma si limitò nella sostanza a confermare fatti e personaggi già emersi nell’inchiesta milanese. Nel frattempo, però, continuò nella sua opera devastante di corruzione giudiziaria e di rafforzamento del presidio giudiziario da lui creato almeno fino al 1996, come scopriranno i pubblici ministeri di Perugina;
- Nei confronti dei conti privati di Pacini Battaglia non vennero mai concluse rogatorie internazionali. Ciò è vero anche per la sua banca, la Karfinco, suo vero e principale “strumento di lavoro”;
- Molte delle rogatorie richieste vennero classificate come non urgenti e quindi di ordinaria amministrazione;
- In alcuni casi allo stesso Pacini Battaglia venne consentito, tramite il suo legale, l’avv. Lucibello, di conoscere in anticipo le tematiche che sarebbero state affrontate negli interrogatori;
- Nessun controllo venne mai svolto sulla documentazione che il banchiere versava negli atti, così che lo stesso poté anche produrre materiale artefatto o precostituito;
- Nessuna seria indagine venne mai fatta nei confronti di Roger Francio, principoale collaboratore di Pacini Battaglia;
- Nessun controllo venne mai fatto neppure sulle persone fisiche che erano terminali delle operazioni bancarie di Pacini. In questo modo non si riuscì ad individuare i beneficiari di queste operazioni fra i quali spiccano proprio i nomi di Lorenzo Necci e di tutti coloro che saranno inquisiti solo tre anni dopo dalla magistratura di La Spezia;
- Nel frattempo Pacini Battaglia sembrava interessato proseguire i suoi rapporti privilegiati col suo antico “inquisitore” divenuto ministro, liberandolo dalla presenza ingombrante di un suo collaboratore, un magistrato torinese, Mario Cicala;
D i Pietro e gli amici più cari. Esiste un lavoro giornalistico molto attento, anche se un po’ datato e molto dimenticato, che ci aiuta a capire quali fossero le frequentazioni del Tonino nazionale: le sue amicizie. E’ un’inchiesta, puntuale e mai smentita , che il giornalista Roberto Chiodi pubblicò nel 1993 sul settimanale Il Sabato . Il prezioso lavoro di Chiodi ci aiuta a capire molto. Per scoprire il mondo diciamo così “affettivo” dell’ex magistrato milanese lo useremo come traccia, integrandolo di volta in volta con gli avvenimenti successivi.
Siamo sul finire degli anni ottanta, quando nella cosiddetta” Milano da bere” Di Pietro consolida vecchie e nuove amicizie. Si tratta di conoscenze nate nei circoli politici sociali: amministratori, professionisti, finanzieri. Rafforza i legami con l’avv. Giuseppe Pezzotta, figlio dell’ex sindaco di Bergamo e buon amico della moglie Susanna Mazzoleni, anch’essa avvocato, sposata dopo l’annullamento del primo matrimonio. Si scambia regali di Natale con Claudio Dini, presidente della Metropolitana. Frequenta a Milano San Felice la villa, in cui Maurizio Prada, presidente dell’Atm, l’azienda di trasporti milanese, gli fa conoscere l’ex consigliere dell’Eni Valerio Bitetto. Dall’industriale Gorrini della Maa assicurazioni ottiene un impiego per il figlio Cristiano, diciottenne (oggi in Polizia). Per la rivista Gran Milan) che fa riferimento al conte Carlo Radice Fossati, non manca di firmare alcuni articoli di costume e di giustizia. Ritrova Eleuterio Rea, funzionario della Digos, amico degli anni in cui faceva il poliziotto al commissariato Porta Nuova.. Vanno all’ippodromo insieme (Rea è un accanito scommettitore), frequentano lo stesso giro di amicizie che comprende anche il questore Achille Serra (la moglie di Prada, Agnese, né è la segretaria).
Ma l’amico del cuore di Antonio Di Pietro è uno soltanto: Giuseppe Lucibello. Fa l’avvocato, frequenta Di Pietro dai primi tempi del suo arrivo a Milano come magistrato. Proviene dalla “scuola salernitana”. Ha dovuto abbandonare precipitosamente le aule del Cilento per le minacce che gli venivano da ambienti della Camorra.
Di sicuro alcuni magistrati, con i quali Lucibello aveva rapporti professionali e d’amicizia, sono risultati coinvolti in brutte storie, episodi contrari ai doveri d’ufficio. E’ Lucibello a introdurre Di Pietro nei salotti bene e, quando scoppierà lo scandalo di tangentopoli, sempre Lucibello farà la parte del leone come avvocato difensore. Non solo saranno suoi fortunati clienti Prada, Radaelli e Radice Fossati,ma anche Pacini Battaglia, gran tesoriere dei soldi neri in Svizzera.
Di Pietro è un uomo dal cuore d’oro. Uno che sa anche restituire i favori e rispettare gli amici. Eleuterio Rea, per esempio,. Stavano per trasferirlo a Lamezia quando a Milano si presentò l’opportunità di nominarlo comandante dei Vigili Urbani. Di Pietro chiese al procuratore capo Saverio Borelli l’autorizzazione a far parte della commissione che avrebbe dovuto tracciare l’identikit del futuro capo dei “ghisa” milanesi e poi, esaminare i candidati. La commissione si insediò, Di Pietro fece il suo lavoro, poi alla vigilia degli esami, ci si accorse che un magistrato non poteva stare in quel posto. Di Pietro fu cortesemente invitato a lasciare l’incarico.
Ma ormai l’identikit del giusto candidato era stato delineato e Rea rimase a Milano, con i gradi del comandante. Quando si indebitò, per la sua mania del gioco, Di Pietro lo salvò. Come? Secondo i pubblici ministeri di Brescia facendoli avere un prestito da un altro amico: Gorrini. Vero o falso? Il gip non ci crede. Il dossier, contenente tutte le malefatte di Tonino, che Gorrini consegna nel novembre del 1994 alla magistratura di Breccia è stato oggetto di un’inchiesta giudiziaria conclusasi con la solita archiviazione decisa dal gip. Ciononostante dei contenuti di quel documento si occupa ampiamente la sentenza del tribunale di Brescia che manda assolti Previti e compagni dall’accusa di minacce rivolte a Di Pietro e sconfessa ripetutamente il famoso pm. (CONTINUA)

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