giovedì 29 maggio 2008

Noi paghiamo e la Germania ricicla e guadagna

La beffa tedesca e la cieca ottusità della nostra politica
Riciclati in Germania i rifiuti campani

Mentre i nostri governanti provano a convincerci che non esiste altra soluzione al problema rifiuti, oltre a discariche ed inceneritori, un'agenzia ANSA del 21 maggio ci racconta che i rifiuti campani spediti in Germania sono stati riciclati mediante impianti di trattamento meccanico biologico. Solo una parte minore è stata conferita all'incenerimento. E l'italia è uno dei paesi che fa maggior uso di materie prime secondarie, ottenute dal riciclo.
Qualcuno è in grado di spiegare perchè in Italia, per questi stessi rifiuti, non vi sia altra alternativa che l'incenerimento? Perchè da noi non si vuole ricorrere a differenziata ed impianti di vagliatura del tal quale residuo, come ad esempio l'ArrowBio di Tel-Aviv, e le soluzioni a recupero totale del rifiuto, come avviene a Vedelago (dove l'impianto serve un milione di cittadini)?
Quali irriferibili connivenze industriali e malavitose hanno condotto alla disastrosa situazione attuale della Campania, con la devastazione di interi territori trasformati in discariche a cielo aperto, anche quando le valutazioni idreogeologiche sconsigliavano vivamente l'operazione?
BERLINO, 21 MAG - I rifiuti campani già smaltiti in Sassonia non sono stati bruciati nei termovalorizzatori tedeschi, ma sono stati riciclati per ricavarne materie prime secondarie e composti organici che verranno venduti all'industria. Il 'percorso dell'immondizia italiana in Germania lo ha spiegato all'ANSA una portavoce del Ministero dell'Ambiente della Sassonia, sottolineando che niente è finito in discarica. «Questi rifiuti non sono stati bruciati» negli inceneritori, ha detto la portavoce.
Anzitutto, ha spiegato sono stati separati i rifiuti organici da quelli solidi, che diventeranno poi materie prime secondarie (plastica, metallo, etc.). Il resto, «una parte minore - ha proseguito - è statotrattato in un impianto meccanico-biologico e verrà venduto alle industrie», le quali bruciano questo materiale trasformandolo così in energia. Ma il grosso dei rifiuti campani diventa materia prima secondaria. E l'Italia, oltre a fornire l'immondizia, svolge anche un ruolo importante nella fase successiva del percorso di quest'ultima. Il Paese, infatti, è al terzo posto, con 2,01 milioni di tonnellate, della graduatoria degli acquirenti di materie prime secondarie.(ANSA).

martedì 27 maggio 2008

Democrazia dei numeri

Dittatura? No: è la democrazia dei numeri.



Scritto da Stefano Montanari
martedì 27 maggio 2008
Che gli uomini non imparino molto dalle lezioni della storia è la più importante di tutte le lezioni della storia. Non l’ho detto io, ma Aldous Huxley.
La storia, paziente e monotona com’è, continua ad insegnare sempre la stessa lezione e noi quella lezione continuiamo a non impararla, da somarelli che siamo.
Dopo anni di politica di piccolo cabotaggio nel corso del quale il bene comune è stato lentamente dimenticato per lasciare posto alla rapina sistematica di chi si doveva amministrare, dopo anni di buonismo di stato, quello di cui il linfatico Veltroni è il testimonial più icasticamente evidente, quello che altro non era se non il trionfo dell’inefficienza, dopo anni in cui si è lasciato che un venditore televisivo d’assalto reclamizzasse i suoi prodotti attraverso televisioni più o meno legali ipnotizzando le menti degl’italiani, per loro stessa natura distratti e per nulla interessati a tutto ciò che prevede la fatica di programmare al di là della giornata stessa (ridateci Wanna Marchi!), che cosa si pretendeva?
Torno ora da un viaggio di qualche giorno in Grecia dove ho partecipato ad un convegno mondiale d’“intellettuali” - sperando che il termine abbia un significato positivo - e
mi ritrovo che lo statista di plastica cui ci siamo affidati ha preso in pugno la situazione e ha risolto l’“emergenza rifiuti” e l’ “emergenza energetica” con un sol colpo di bacchetta magica. Si costellerà l’Italia di “termovalorizzatori” (traduco per i non italiani: inceneritori) e si rispolvereranno le centrali nucleari (traduco ancora: quegl’impianti che un referendum nazionale bocciò).
Che importa se per costruire ambedue gli ecomostri s’impiegheranno anni, anzi, decenni e l’emergenza, così minuziosamente preparata, resterà cronica? Che importa se i rifiuti saranno trasformati in veleni ben più insidiosi di quanto non siano in partenza, provocando emergenze sanitarie di gran lunga più gravi di quelle di cui soffriamo adesso? Che importa se altrove, nei paesi dove la corruzione è quasi sconosciuta e dove la politica è fatta da persone meno impreparate che non sguazzano nel lusso sibaritico da tramandare di padre in figlio o da vendere ai clienti, esistono tecniche consolidate da cui, trattando i rifiuti (laggiù in diminuzione) senza sporcare, si ricavano quattrini (per la comunità) e posti di lavoro? Che importa se questa fungaia d’inceneritori dovrà essere sfamata producendo sempre più immondizia? Che importa se il nucleare è la fonte in assoluto più costosa di energia ed è, per di più, una fonte cui noi italiani non abbiamo accesso se non indiretto e che ci rende ancor più dipendenti dall’estero? Che importa se il nucleare non ha alcun futuro, trattandosi di una fonte ovviamente non rinnovabile e altrettanto ovviamente destinata ad esaurirsi? Che importa se questa dipendenza, unita a quella del petrolio, del gas e del carbone, ci rende sempre più deboli e ricattabili, oltre che più poveri? Che importa se un nostro Premio Nobel ha condannato senza appello una scelta così demenziale? Che importa se quel Premio Nobel ci ha dimostrato ciò che ogni fisico sa, e cioè che non si può pretendere di vivere prelevando energia dall’interno di un sistema, ma bisogna per forza prenderla da fuori (il Sole)? Che importa se, per mettere in atto queste follie si deve far ricorso ad una classe accademica mascalzonesca che distrugge spregiudicatamente i cervelli dei propri allievi? Che importa se si premia qualche “grande oncologo” per portare a compimento l’anestesia? Che importa se i nostri enti di controllo ci daranno, più di quanto non abbiano fatto finora, informazioni false? Che importa se i cosiddetti media diventeranno ancora più bugiardi o autocensurati? Che importa se, a supporto di una situazione molto alla Orwell, si è pensato opportuno vibrare una coltellata alla democrazia e alla libertà come da Gazzetta Ufficiale del 1° maggio? In galera chiunque conosca un po’ di scienza, un po’ di tecnica, un po’ di quanto si fa da altre parti del mondo e contesti il regime, magari con delle prove inoppugnabili in mano! È così che fa un vero uomo di stato.
E l’opposizione? Ma quale opposizione? La strana coppia Pappa e Ciccia ha lavorato benissimo e adesso è padrona di tutto grazie ad un vero e proprio plebiscito. È così che partiranno quei grandi lavori che tanto entusiasmano Di Pietro e compagnucci (tanti ossequi all’onorevole Misiti) e che daranno linfa vitale a Mafia, Camorra e Politica, tutte e tre con la maiuscola, tutte e tre affratellate nel malaffare.
Come avevo previsto, cosa, del resto facilissima da fare, adesso mi si chiama da tutte le parti perché si farà un “termovalorizzatore” dietro casa, perché lì vicino ci sarà una turbogas (grazie Verdi!), perché un treno passerà a trecento all’ora quasi in cortile mentre i pendolari continueranno ad andare al lavoro nei loro carri bestiame che passeranno quando ne avranno fantasia, perché il sindaco ha in progetto una centrale a biomasse, e via discorrendo.
Ma, cari lettori, io le mie proposte le avevo fatte, le alternative le avevo date e mi ero addirittura offerto come politico pronto a dare una mano. Il risultato lo abbiamo visto tutti: il 99,7% degl’Italiani ha preferito altrimenti e, si sa, in democrazia contano i numeri, come il senatore Gasparri, che di democrazia se ne intende, ebbe a farmi notare. E se uno ha lo 0,3% dei consensi, non è nemmeno uno scienziato, aggiunge lo statista per concludere il pensiero.
E allora, che si pretende da me?

mercoledì 21 maggio 2008

LA CONSAPEVOLEZZA


Marco Cedolin
Tratto dal libro "Proposta di un programma politico per la decrescita" Autori Vari - Editori Riuniti - Roma 2008. A breve in libreria.
Mi è accaduto più volte di domandarmi e sentirmi domandare quante e quali siano le consonanze fra la lotta contro il TAV che portiamo avanti noi valsusini e il pensiero della decrescita, del quale Maurizio Pallante ritengo sia uno degli interpreti più brillanti e concreti.In realtà quando 15 anni fa qui in Val di Susa un esiguo gruppo di cittadini, esperti ed ambientalisti iniziò ad opporsi al progetto del treno veloce, concetti come quelli di decrescita o democrazia partecipata erano in Italia semisconosciuti e nessuno fra coloro che avevano intrapreso tale battaglia poteva nutrire velleità di questo genere. Né tanto meno poteva supporre che la lotta NO TAV avrebbe nel tempo acquisito una rilevanza tale da arrivare a rivestire un ruolo di “esempio” per chiunque oggi in Italia si batta contro le grandi opere e le nocività.Coloro che per primi in Valsusa iniziarono ad opporsi al TAV erano semplicemente un gruppo di persone preoccupate per le sorti del territorio in cui vivevano, che poste di fronte ad un progetto devastante avevano iniziato ad accumulare conoscenze sull’argomento, a porsi delle domande, a sviluppare il proprio senso critico. In Val di Susa in quegli anni si stava ancora completando la costruzione dell’autostrada A32 Torino - Bardonecchia, un’opera altamente impattante per il territorio, la cui opportunità era stata giustificata attraverso il nobile proposito di velocizzare e favorire il traffico dei mezzi pesanti, liberando in questo modo le statali ed i paesi dall’ingombrante ed inquinante passaggio dei TIR. Prima ancora che l’autostrada fosse interamente terminata si stava già progettando una nuova opera ancora più enorme ed impattante che secondo le parole dei proponenti avrebbe avuto lo scopo di spostare quegli stessi TIR dall’autostrada ai vagoni dei nuovi convogli ad alta capacità. Chiaramente i conti non tornavano ed il cortocircuito logico risultava più che evidente. Perché mai spendere miliardi, deturpare una valle alpina con colate di cemento e gallerie, condannare gli abitanti ad anni e anni di sofferenza e disagio a causa dei lavori per la costruzione di un’autostrada che prima ancora di essere terminata sarebbe stata sostituita nella sua destinazione d’uso dal nuovo progetto di una linea ferroviaria ad alta velocità ancora più impattante e costosa, il tutto in un territorio altamente antropizzato che già possedeva una linea ferroviaria internazionale a doppio binario sottoutilizzata?Porsi delle domande è sempre indice d’intelligenza ed i primi NO TAV oltre che lungimiranti si dimostrarono molto arguti nel ricercare le proprie risposte attraverso lo studio approfondito dei progetti (spesso reperiti con estrema difficoltà a causa dell’ostracismo sistematico di cui erano fatti oggetto), l’analisi del territorio, il lavoro di esperti competenti, senza cedere alla tentazione di lasciarsi incantare dalle sirene del circo mediatico che al soldo del potere industriale e di quello politico, dispensava a piene mani dati falsi ed informazioni completamente fuorvianti e disancorate dalla realtà.Quello dei primi NO TAV fu un lavoro gravoso e difficile, portato avanti con dispendio di tempo, denaro ed energie, spesso nell’indifferenza generale dei loro concittadini e di fronte all’aperta ostilità della stampa e della politica. Nonostante ciò man mano che gli anni passavano, i risultati di questo impegno iniziarono a produrre i propri frutti. Le tante serate informative passate ad illustrare le negatività dei progetti, a fare sentire tramite gli altoparlanti il rumore del TAV, a condividere con gli altri cittadini dubbi e domande, non si dimostrarono uno sforzo inutile, così come di estrema utilità si rivelò la grande mole di studi, di pubblicazioni, di libri che man mano nacquero sull’argomento.I cittadini della Valsusa acquisirono nel tempo, quasi per osmosi, lo stesso atteggiamento proprio a coloro che avevano iniziato la battaglia, arrivando ad essere non oggetto terminale dell’informazione ma soggetto attivo dell’informazione stessa, attraverso la partecipazione ed il confronto. I NO TAV valsusini iniziarono a crescere nel numero man mano che cresceva il loro bagaglio di conoscenza e l’assunzione di consapevolezza costituì a sua volta stimolo per la ricerca di nuove conoscenze da condividere con gli altri.La dimostrazione di questa piccola “anomalia genetica” che per molti versi rende unici i valsusini e tanti problemi sta creando ai grandi potentati economici e finanziari e agli uomini politici che li servono fedelmente, si può riscontrare semplicemente facendo una gita in Valle di Susa e passando qualche ora a discorrere con gli abitanti. Resterete stupiti ascoltando le parole del macellaio che sciorina i dati e le caratteristiche idrogeologiche del territorio meglio di quanto non facciano generalmente i geologi professionisti, dimostrando in maniera incontrovertibile come il progetto del TAV oltre a perforare montagne ricche di amianto ed uranio prosciugherà gran parte delle falde acquifere e stravolgerà gli equilibri idrogeologici dell’intera valle, mettendo a repentaglio l’approvvigionamento idrico di molti comuni ed aumentando in maniera esponenziale il rischio di disastrose alluvioni. Spalancherete la bocca di fronte ad un operaio metalmeccanico che disquisisce d’infrastrutture ferroviarie e trasporti con proprietà di linguaggio e cognizione di causa superiori a quelle degli ingegneri strapagati delle ferrovie, spiegandovi come l’intero progetto del TAV in Italia sia una bufala di proporzioni colossali che butterà alle ortiche 90 miliardi di euro del contribuente per costruire un’infrastruttura ciclopica che non sarà in grado di rispondere a nessuna delle necessità reali del nostro paese. Rimarrete in ossequioso silenzio dinanzi all’impiegato del comune che a differenza di molti oncologi omertosi, in quanto a libro paga dei grandi poteri, vi illustrerà tutti gli effetti dell’amianto sulla salute dell’uomo, arrivando a spiegarvi come quando si parla di amianto non esistano soglie di tollerabilità in quanto anche una sola fibra se inalata da un soggetto predisposto alla malattia può indurre a distanza di una ventina di anni l’insorgenza del mesotelioma pleurico che nel 100% dei casi conduce alla morte entro pochi mesi dal momento della diagnosi. Strabuzzerete gli occhi dinanzi all’insegnante di scuola materna che vi ragguaglierà, come tanti economisti al soldo dei potenti si sono dimenticati di fare, sull’assoluta mancanza di prospettive di ritorno economico del progetto TAV Torino – Lione. Non esistono nella realtà i passeggeri e le merci da trasportare, gli unici due collegamenti diretti giornalieri fra Torino e Lione sono stati da tempo soppressi per mancanza di passeggeri ed il traffico merci sulla linea storica, in costante calo, si aggira oggi sui 5 milioni di tonnellate/anno, a fronte dei 40 milioni di tonnellate/anno indispensabili perché parlare di TAV possa avere economicamente un senso. Avrete ormai imparato a non stupirvi più di nulla quando un normale pensionato vi renderà partecipi dell’evidenza che in una valle alpina larga mediamente 1,5km, all’interno della quale sono già presenti un’autostrada, una linea ferroviaria internazionale a doppio binario, un fiume, 2 statali e alcune strade provinciali, un’infrastruttura come il TAV proprio non potrebbe trovare posto, se non al prezzo di ridurla allo stato di mero corridoio di transito. Qui in Valsusa transitano già oggi il 35% delle merci che attualmente valicano le Alpi e noi abbiamo il diritto di praticare l’agricoltura, l’allevamento, l’accoglienza turistica, vogliamo costruire delle prospettive di vita per il nostro futuro e quello dei nostri nipoti, non morire in un corridoio strapieno di veleni, vi dirà mentre starete per accomiatarvi, dopo avere ormai maturato la convinzione che in questo modo d’intendere il progresso ci sia qualcosa di profondamente sbagliato.Proprio attraverso l’acquisizione della conoscenza e del sapere, attinti a piene mani dal lavoro di chi aveva iniziato a “studiare” in prima persona i progetti del treno ad alta velocità e non dalle parole false e fuorvianti dispensate dalla stampa e dalla TV, i NO TAV valsusini sono riusciti nel tempo ad emanciparsi dai dogmi del pensiero dominante fino ad arrivare a mettere in dubbio oltre alla buona fede di politici, industriali, giornalisti e pseudo scienziati dai lauti stipendi, i fondamenti stessi di una società costruita sul mito della crescita e dello sviluppo. Questo poiché la conoscenza induce per forza di cose l’assunzione di consapevolezza e la creazione di uno spirito critico che una volta nato spazierà necessariamente al di fuori del contesto che lo ha ingenerato.Il macellaio che ha maturato conoscenze in campo geologico non potrà limitarsi a riflettere sul disastroso impatto ambientale determinato dalle gallerie del TAV nel Mugello, la cui costruzione ha dissipato 100 miliardi di litri di acqua di montagna e prosciugato in maniera irreversibile decine di pozzi, sorgenti e torrenti, ben comprendendo che la stessa situazione, magari amplificata, verrebbe a determinarsi anche in Valle di Susa nel caso in cui l’opera fosse portata a compimento. Una volta in possesso della conoscenza egli sarà costretto giocoforza a confrontarsi con il problema della cementificazione indiscriminata del territorio, delle trivellazioni petrolifere in Val di Noto, della violenza con cui sistematicamente i “costruttori del progresso” fanno scempio dell’ambiente in cui viviamo, nel nome della crescita e dello sviluppo. L’operaio metalmeccanico diventato esperto di ferrovie e trasporti, dopo aver realizzato che il TAV è un’opera tanto inutile quanto costosa, non potrà esimersi dal domandarsi per quali ragioni in una realtà come quella attuale, dove si paventa a breve termine il progressivo esaurimento delle fonti energetiche fossili e la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera sta innescando mutamenti climatici dagli effetti potenzialmente catastrofici, si continuino a progettare infrastrutture estremamente invasive per far correre mezzi di locomozione altamente energivori ed inquinanti, quando fra 20 o più anni i lavori di costruzione saranno terminati e la situazione contingente si rivelerà presumibilmente molto più grave di quella odierna.L’impiegato comunale che ha studiato gli effetti delle sostanze tossiche sulla salute dell’uomo, dopo avere preso coscienza della ferale pericolosità dell’amianto e dell’uranio sarà costretto a guardare intorno a sé. Scoprirà allora che in Italia stanno nascendo come funghi nuovi megainceneritori (impropriamente definiti termovalorizzatori e finanziati attraverso il denaro pubblico) che oltre a scaricare nell’atmosfera immensi quantitativi aggiuntivi di anidride carbonica emettono diossina, furani, idrocarburi policlici, acidi inorganici, ossido di carbonio e nanoparticelle finissime che sono altamente patogene e non vengono rilevate dagli strumenti di controllo, né bloccate dai filtri degli impianti. Si accorgerà che nel bel mezzo della Valle di Susa, fra i comuni di Bruzolo e San Didero, l’acciaieria Beltrame continua a disperdere nell’ambiente quantitativi di diossina equivalenti alle emissioni di 20 megainceneritori e lo fa con l’Autorizzazione ambientale integrata (Aia) della Provincia di Torino. Percepirà le schizofreniche contraddizioni che appartengono ai pifferai del pensiero dominante. Politici, scienziati, giornalisti, e grandi poteri economici e finanziari che individuano nei mezzi di trasporto di merci e persone una delle principali cause dell’effetto serra e delle malattie derivanti da inquinamento ambientale e sostengono con grande enfasi progetti di limitazione del traffico automobilistico metropolitano e campagne di rottamazione delle auto più inquinanti finanziate attraverso il denaro del contribuente. Pifferai che dopo avere lanciato l’allarme ed averlo diffuso attraverso mirate campagne mediatiche, con altre campagne mediatiche altrettanto mirate esaltano la bellezza della globalizzazione, la necessità di aumentare la crescita e lo sviluppo mediante lo spostamento di sempre più merci e persone che dovranno coprire distanze sempre più lunghe e farlo in tempi sempre più brevi. Pifferai che propongono come elementi imprescindibili del progresso la costruzione di nuove autostrade, nuove gallerie, nuovi viadotti, nuove linee TAV, finalizzate ad aumentare il numero dei mezzi di trasporto in circolazione, la loro velocità e pertanto la possibilità di coprire distanze sempre maggiori nella stessa unità di tempo. Ma non erano proprio i mezzi di trasporto i primi nemici da combattere in quanto fra i maggiori responsabili dell’effetto serra e dei decessi per inquinamento?L’insegnante di scuola materna che ha preso coscienza di tante nozioni di economia, arrivando a scoprire il disastroso rapporto costi/benefici delle linee TAV e il machiavellico sistema di “finanza creativa” attraverso il quale è stata fino ad oggi finanziata l’opera contraendo debiti a “babbo morto” che inevitabilmente ricadranno sulle future generazioni, non potrà estraniarsi dalla realtà che la circonda. Non tarderà a comprendere come una società fondata sull’incremento del Pil e sulla spasmodica necessità di perseguire la crescita infinita in un mondo finito, sarà per forza di cose destinata a collassare, quando dopo avere cementificato anche l’ultimo metro quadrato di territorio non potrà più crescere, pur rimanendo la crescita prerogativa imprescindibile per la sua esistenza.Il pensionato che ha accumulato conoscenze tecniche e scientifiche nell’intento di difendere il futuro dei propri nipoti, si accorgerà che in Italia molte altre persone stanno facendo la stessa cosa. A Brescia dove il futuro è minato da un megainceneritore, a Vicenza dove è condizionato dalla costruzione della nuova base militare americana Dal Molin, a Serre dove l’ennesima velenosa discarica lo ammorberà con l’insorgenza di tumori, a Civitavecchia dove una centrale a carbone “entrerà” nei polmoni delle nuove generazioni, a Bassano del Grappa dove a rubare il futuro ci pensano una zincheria e la mafia che la sostiene, ad Acerra dove un nuovo megainceneritore sta per sorgere in un’area già oggi simile a un girone dell’inferno dantesco, tanto è alta l’incidenza delle patologie tumorali derivanti dall’inquinamento del suolo e dell’aria, a Civitavecchia dove la nuova Centrale Turbogas avvelenerà il territorio arrivando perfino a mutare il microclima della zona. Il pensionato si renderà conto di non essere più solo e condividerà la propria battaglia con quelle degli altri, le proprie conoscenze con le loro e quasi senza rendersene conto avrà maturato nuove consapevolezze.La Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso e il sindaco di Torino Chiamparino, insieme ad un immenso stuolo di uomini politici di ogni colore, industriali, sindacalisti, giornalisti, opinionisti, pseudo scienziati, sociologi ed esperti di comunicazione, hanno più volte etichettato i NO TAV valsusini come nemici del progresso in preda alla sindrome Nimby (non nel mio giardino) tentando in questo modo di screditarne l’immagine ed esorcizzare la valenza della loro lotta, attribuendole caratteristiche riduttive ed egoistiche.La vera sindrome in realtà è quella del potere che costringe tutti costoro ad inseguire ad oltranza il mito della crescita e dello sviluppo, nella speranza di rimanere attaccati un giorno di più alle proprie poltrone, anche di fronte all’evidenza che si tratta di una strada sbagliata ormai non più praticabile. Sono loro gli arretrati, i nemici del progresso, i dinosauri incartapecoriti, non gli abitanti della Valle di Susa e tutti coloro che in Italia stanno prendendo coscienza di come questa non sia la strada giusta, in quanto destinata a non portare da nessuna parte.Sono loro che guardano senza vedere e ascoltano senza sentire, impegnati a perpetuare l’unica logica che conoscono, quella delle speculazioni, dei giochi di potere, delle scalate societarie, degli intrighi di palazzo, della malversazione. Vaneggiano di progresso ma stanno costruendo una civiltà frenetica, priva di valori, votata all’ipercinetismo, all’insicurezza, alla precarietà, alla paura del futuro.Perseguono la velocità degli spostamenti ed ignorano quella pensiero, costruiscono treni ed auto sempre più veloci, senza accorgersi che se non ci si ferma un attimo a riflettere fra poco non ci sarà più nessun posto in cui valga la pena di andare.Guardano al mondo come ad una materia prima ed osteggiano coloro che riescono a vederlo come un organismo vivente, guardano alle persone come a delle risorse e le manganellano quando prendono coscienza di sé e chiedono di poter decidere del proprio futuro.Inseguono un modello di sviluppo che in realtà non riesce più a progredire ma sta sortendo il solo effetto di riportare indietro la qualità della vita di tutti.Mercedes Bresso, Chiamparino e tutti coloro che ne condividono il pensiero, temono i NO TAV valsusini molto più di quanto essi stessi non vogliano ammettere. Li temono perché sono consapevoli del fatto che non esiste nulla di Nimby nel loro pensiero e lo spirito critico accumulato attraverso la conoscenza li porterà inevitabilmente molto più lontano di quanto i primi oppositori del treno veloce potessero supporre, talmente lontano da lasciarsi alle spalle quel “NO” nel quale li si vorrebbe rinchiusi come dentro a un bozzolo.Il macellaio, l’operaio metalmeccanico, l’impiegato comunale, l’insegnante di scuola materna, il pensionato, lottando contro il TAV hanno accumulato conoscenza, condividendola con i loro vicini di casa ed i loro amici che a loro volta hanno fatto altrettanto, rafforzando quella rete di rapporti conviviali e quel piacere dello “stare insieme” che costituiscono il filo conduttore di questi 15 anni di lotta, e si sono rivelati fondamentali nel superamento del difficile inverno 2005. La conoscenza ha indotto quella consapevolezza e quello spirito critico che li hanno portati a contestare oltre al TAV la velenosa presenza dell’acciaieria Beltrame e l’insensato progetto della seconda canna del Frejus che si manifesta foriero di futuri incrementi del traffico di mezzi pesanti all’interno della Valle di Susa, ma anche ad emanciparsi dal ruolo di cittadini silenti che subiscono passivamente qualunque trama si ordisca sopra la loro testa. L’emancipazione ha prodotto nuovi “perché” e la ricerca di nuova conoscenza, vissuta attraverso la condivisione delle motivazioni per cui molte altre realtà in Italia lottano contro le grandi opere e le nocività. Il Patto di Mutuo Soccorso creato nel 2006 ed oggi ancora in fase embrionale ha già messo in relazione fra loro oltre 300 realtà di lotta che condividono reciprocamente il proprio sapere e le proprie esperienze, all’interno di una rete comune mirata a creare solidarietà ed interscambio fra tutti i soggetti che la compongono, ed i NO TAV valsusini rappresentano senza dubbio il fulcro intorno al quale si è ingenerato questo processo che tanto sta spaventando la consorteria del cemento e del tondino ed i partiti politici che la sostengono.La Valle di Susa dopo gli accadimenti dell’inverno 2005, quando la politica tentò d’imporre il TAV attraverso la militarizzazione del territorio e l’uso indiscriminato del manganello, con il solo risultato di provocare una vera e propria rivolta popolare che la condusse ad una sconfitta cocente, è diventata un vero e proprio crocevia del sapere. Laddove i grandi poteri avrebbero voluto costruire un mortifero corridoio di transito per merci di fantasia e persone senza volto è nato invece un grande corridoio di pensiero vivo e vitale, dove le persone comunicano guardandosi negli occhi e le idee prendono forma in libertà. Le serate informative, le assemblee, le iniziative culturali sono tantissime e sempre più partecipate e contribuiscono a costruire un terreno fertile per l’acquisizione di nuove conoscenze , non solo di carattere tecnico/scientifico, ma anche umano e sociale. Questo nuovo arricchimento di conoscenza ha condotto i NO TAV valsusini a maturare la consapevolezza di come il vero nemico da combattere non sia costituito dal TAV, dall’acciaieria, dall’inceneritore, dalla base militare, dal Mose, dal rigassificatore, dalla centrale a carbone o da quella turbogas, bensì dal perverso sistema sviluppista che può sopravvivere solo attraverso la continua crescita dei consumi e del Pil, determinando la costruzione d’infrastrutture ed opere sempre più grandi ed impattanti che fagociteranno porzioni sempre maggiori di territorio, ammalorando progressivamente lo stato dell’ambiente e riducendo la qualità della vita di tutti noi. In virtù di questa consapevolezza risulta evidente come le lotte portate avanti contro le singole opere e nocività, anche qualora l’esito delle stesse sia premiante, non si riveleranno mai risolutive del problema che alligna a monte, nel sistema della crescita infinita, che continuerà a dispensare opere e nocività con sempre maggiore frequenza, dal momento che il suo unico scopo è quello di crescere e poi crescere ancora. Alla luce di questa evidenza anche portare avanti le azioni di contrasto senza mettere in discussione l’intero paradigma della crescita e dello sviluppo, rischia di rivelarsi una pratica sterile che nel migliore dei casi può proporsi come obiettivo un rallentamento temporaneo del ritmo con cui le singole opere vengono portate a compimento, al quale il sistema risponderà proponendo un numero sempre crescente di nuovi progetti. Opporsi al TAV affermando che l’incremento di traffico futuro sarà molto inferiore a quello ventilato e comunque tale incremento potrà essere gestito attraverso un potenziamento della linea ferroviaria attualmente esistente è un atteggiamento tanto giusto dal punto di vista razionale, quanto sbagliato in prospettiva perché giustifica intrinsecamente l’assurto in virtù del quale in Valle di Susa dovranno necessariamente transitare più merci e più persone. Alla stessa stregua opporsi agli inceneritori e alle discariche semplicemente argomentando che un’efficiente raccolta differenziata e la scelta di metodi di smaltimento meno impattanti come il Trattamento Meccanico Biologico (TMB) sarebbero in grado di evitare il ricorso all’incenerimento e al conferimento in discarica del pattume, rappresenta un atteggiamento virtuoso che però accredita come “sostenibile” il continuo incremento della massa dei rifiuti legato alla crescita esponenziale dei consumi. Parimenti lottare contro la costruzione delle centrali a carbone o turbogas e dei rigassificatori, sostenendo che esistono sistemi migliori e meno inquinanti per fare fronte all’aumento del fabbisogno energetico significa accettare a priori la prospettiva di un futuro nel quale il consumo di energia dovrà per forza aumentare in maniera esponenziale.Il vero salto di qualità di cui stanno iniziando a farsi interpreti i NO TAV valsusini consiste proprio nello spostamento del problema dalle opere e dalle nocività al sistema sviluppista che oggi crea quelle opere e quelle nocività e domani dovrà necessariamente crearne di sempre più grandi è sempre più nocive, poiché la grandezza dimensionale e quantitativa è il termine primario nella scala valoriale della crescita che si ciba d’incremento della produzione, incremento dei consumi, incremento delle infrastrutture che servono a veicolare più velocemente i prodotti, incremento degli impianti destinati a smaltire i rifiuti del consumo, incremento del pil che consentirà ancora più produzione, più consumi, più traffico dei mezzi di trasporto delle merci, più infrastrutture necessarie per contenerli tutti, più capacità di smaltire nuovi rifiuti e così via in un circolo vizioso il cui unico terminale sarà per forza di cose l’annientamento della biosfera e di tutti gli esseri viventi che ne fanno parte.Il grado di sensibilità raggiunto attraverso l’acquisizione di conoscenze e saperi sempre maggiori dai valsusini che lottano contro il TAV, li sta portando ad uscire da quel bozzolo del “NO” ormai troppo piccolo per contenere il loro pensiero. In Val di Susa sta nascendo la consapevolezza di come non sia sufficiente combattere qualcosa se contemporaneamente non ci si prodiga nel tentativo di costruire un’alternativa che non si limiti a tentare di preservare l’esiguo grado di benessere e qualità della vita ancora presenti, ma si proponga di creare un sistema completamente differente, partendo da una prospettiva in cui il benessere e la qualità della vita della persona siano centrali rispetto alle esigenze dell’economicismo.Affiancare al rifiuto un atteggiamento che sia anche propositivo non significa trovare delle alternative percorribili per riuscire a far passare 40 milioni di tonnellate/anno di merci con il minore impatto socio/ambientale possibile, ma ribadire come quei 40 milioni di tonnellate/anno in Valle di Susa non ci dovranno passare mai, in quanto il volume di traffico merci che transita lungo la Valle è già oggi eccessivo e si deve mirare a ridurlo drasticamente.Proporre un sistema alternativo a quello della crescita significa eliminare il ricorso agli inceneritori e alle discariche non solamente attraverso la raccolta differenziata e il TMB ma anche e soprattutto operando una riduzione dei consumi superflui, degli imballaggi, delle confezioni, diminuendo drasticamente il volume dei rifiuti e rendendo la natura dei prodotti il più possibile compatibile con le pratiche di riuso, recupero, riutilizzo e riciclaggio. Significa opporsi alle centrali a carbone, a quelle turbogas, ed ai rigassificatori, non limitandosi a sostenere la necessità d’incrementare il ricorso alle fonti energetiche rinnovabili ma anche e soprattutto ponendosi l’obiettivo primario di ridurre nettamente i consumi di energia. E sarà possibile ottenere questo scopo aumentando l’efficienza energetica degli edifici, incentivando la pratica della cogenerazione, riducendo l’impatto della macroeconomia globalizzata che comporta spostamenti schizofrenici delle merci attraverso tragitti sempre più lunghi a favore di una microeconomia autocentrata fondata sulle filiere corte, nonché diminuendo i consumi superflui nell’ottica di una ritrovata sobrietà.Proporre un sistema alternativo a quello sviluppista significa per i NO TAV valsusini affrancarsi dal dogma del progresso ed accostarsi al pensiero della decrescita, con la consapevolezza che non si sta tornando indietro ma semplicemente andando avanti attraverso una strada nuova che intende porre la scienza e la tecnologia al servizio dell’uomo e non la persona ed il proprio habitat al servizio della crescita e dello sviluppo. Una strada lungo la quale la cooperazione prevalga sulla competizione sfrenata, l’altruismo sull’egoismo, il piacere dello svago e dell’accrescimento culturale sull’ossessione del lavoro, l’importanza della vita sociale sul consumo illimitato, il gusto per la qualità del nostro operato sull’efficientismo produttivista, il ragionevole sul razionale, il piccolo sul grande, la qualità sulla quantità. Una strada che ci porti a riscoprire come il benessere e la felicità si possano realizzare attraverso la soddisfazione di una quantità limitata di bisogni reali, anziché attraverso il soddisfacimento illusorio di un’infinita miriade di bisogni effimeri indotti dalla macchina pubblicitaria e dai condizionamenti sociali. Come la vera ricchezza e la vera gioia allignino nella costruzione di relazioni sociali conviviali, nel godimento del tempo liberato, nella riscoperta della nostra natura umana, piuttosto che non nella nevrotica bulimia che ci porta a fagocitare senza sosta quantità sempre maggiori di beni materiali, nel vano tentativo di riempire quei vuoti esistenziali che devastano la nostra interiorità. Il pensiero della decrescita non va inteso come foriero di recessione o impoverimento, bensì come un’occasione per tutti che sia funzionale ad un nuovo tipo di società, nella quale la qualità della vita e l’interazione con l’ambiente al quale apparteniamo (e che non ci appartiene) siano valorizzati e prevalgano sulla produzione e sul consumo di prodotti inutili e nocivi.Quello che, al fine di farne meglio comprendere le dinamiche, ho descritto fin qui come un processo di evoluzione lineare del pensiero, indotto dall’acquisizione di conoscenze e saperi che generalmente non fanno parte del bagaglio della persona comune, è in realtà un fenomeno molto complesso, ricco di sfaccettature e di variabili ed estremamente variegato nei tempi e nei modi della sua progressione. Sarebbe esercizio d’ingenuità molto lontano dalla verità oggettiva, affermare che oggi tutti i NO TAV valsusini abbiano maturato un grado di consapevolezza tale da essersi emancipati dal modello della crescita e dello sviluppo e condividere con convinzione i proponimenti che Maurizio Pallante enuncia nel Programma politico per la decrescita.Le decine di migliaia di persone che in Valle di Susa si battono contro il TAV costituiscono un insieme estremamente composito, per estrazione sociale, culturale, sensibilità politica, età, possibilità materiale di partecipare alla lotta, capacità e volontà di acquisire la conoscenza. Altrettanto composito risulta essere per forza di cose anche il grado di consapevolezza maturato da ciascuno di loro e di conseguenza il suo spirito critico nei confronti del sistema sviluppista. Alcune persone hanno già fatto propri molti dei valori della decrescita, scoprendo l’importanza dell’autoproduzione e degli scambi non mercantili, anteponendo quando possibile la produzione dei beni all’acquisto delle merci, uscendo dalla logica consumista, praticando uno stile di vita maggiormente sobrio. Molte altre stanno iniziando ora a confrontarsi con il pensiero della decrescita, essendo arrivate, attraverso il percorso della lotta contro il treno veloce, a tratteggiare quelle stesse conclusioni che Pallante esprime in maniera organica nei suoi scritti, ma non hanno ancora avuto il modo ed il tempo per tradurre in pratica i loro convincimenti. Altre ancora stanno decolonizzando il proprio immaginario dai dogmi della crescita e dello sviluppo e riflettendo sulla valenza della parola progresso ma non si sono fino ad oggi avvicinate alla decrescita ritenendola una teoria (e non una pratica) difficilmente percorribile nell’immediato. Tante altre si trovano ancora all’inizio del proprio percorso ed incominciano solo oggi ad intuire le contraddizioni di cui è infarcito il pensiero dominante che da un lato li “terrorizza” vaticinando cambiamenti climatici e catastrofi ambientali, dall’altro li rassicura diffondendo il messaggio che grazie alla crescita e allo sviluppo tutto andrà per il meglio. Da un lato presenta le impietose immagini dei grandi fiumi ridotti ad acquitrini e profetizza il prossimo esaurimento delle risorse idriche, dall’altro propone come indispensabile la costruzione di sempre nuove gallerie che rimarranno indispensabili e imprescindibili anche quando la loro costruzione dissiperà miliardi di metri cubi di quell’acqua di cui si lamenta la penuria.Si può comunque affermare senza tema di smentita come esistano molte e profonde consonanze fra la lotta contro il TAV portata avanti da noi valsusini ed il pensiero della decrescita, poiché proprio il concepimento di una società fondata sulla decrescita si manifesta come il terminale naturale del processo di maturazione fin qui descritto, che sia pur con tempi diversi sta portando tutti noi a percorrere la stessa strada, la quale comporterà per forza di cose il rifiuto del sistema sviluppista della cui progenie il TAV è figlio prediletto. Lottare contro il TAV e lottare per costruire una società della decrescita rappresentano due atteggiamenti complementari che permetteranno ad ogni valsusino di trasformare quello che inizialmente era solo un “NO” ad un’infrastruttura costosa, inutile e devastante, nella concreta costruzione di una prospettiva di futuro migliore (o semplicemente di futuro), per se stesso e per le generazioni a venire.





martedì 6 maggio 2008

INCENERITORI

DA: http://www.stefanomontanari.net/index.php?option=com_content&task=view&id=852&Itemid=1



morire d'incenerimento in Francia



Scritto da Patrizia Gentilini
lunedì 05 maggio 2008
Il 2 aprile u.s. http://www.cniid.org/espace_mailing/cp_20080402.htm sono stati resi noti i risultati definitivi della ricerca condotta da La Veille Sanitarie in Francia nelle popolazioni residenti in prossimità di impianti di incenerimento. I risultati preliminari erano stati presentati nel novembre 2006 ed avevano riguardato 135.567 casi di cancro insorti nel periodo 1990-1999 su una popolazione di circa 2.5 milioni di persone residente in prossimità di 16 inceneritori di rifiuti urbani attivi tra il 1972 ed il 1990. Lo studio aveva considerato l’esposizione a diossine valutate in diversi percentili, trovando un aumento del rischio coerente col crescere dell’esposizione; in particolare nelle aree più esposte l’ aumento del rischio era: sarcomi + 12.9% in entrambi i sessi, linfomi non Hodgkin + 8.4% , cancro al fegato +9.7 %, cancro alla mammella +6.9%, tutti i cancri nelle donne +4%. Orbene, le preoccupazione già a suo tempo emerse dai risultati preliminari, si sono ulteriormente rafforzate davanti ai risultati definitivi conteggiati a marzo 2008 e che evidenziano i seguenti incrementi: sarcomi + 22%, linfomi non Hodgkin + 12% in entrambi i sessi + 18% nelle femmine, cancro al fegato +16%, tutti i cancri nelle donne +6% ed ancora, dato in precedenza non rilevato, incremento del rischio di incidenza per mieloma multiplo in entrambi e sessi +16% e per i maschi addirittura + 23%.
Oltretutto, a detta degli autori, il picco non è ancora stato raggiunto! Ricordiamo che anche lo studio condotto sulla popolazione di un quartiere di Forlì (Coriano) esposta a due impianti di incenerimento ( rifiuti urbani e ospedalieri) aveva evidenziato gravi danni per la salute specie nel sesso femminile con aumento statisticamente significativo del rischio di morte per tutte le cause e soprattutto per tutti i tumori (in particolare mammella, colon, stomaco). Lo studio di Forlì, ricordiamo, aveva valutato l’esposizione a metalli pesanti (altro inquinante tipico degli inceneritori) e non può non destare particolare attenzione il fatto che studi indipendenti, condotti con metodi diversi, abbiano comunque portato a risultati fra loro così paragonabili. La particolare suscettibilità del sesso femminile agli inquinanti emessi da questi impianti è facilmente comprensibile se si pensa, ad es., che la concentrazione di diossine nel sangue delle donne di Seveso, anche a distanza di anni, era dalle due alle tre volte superiore a quella riscontrata nei maschi, che pure erano stati esposti al medesimo evento: le caratteristiche biologiche, metaboliche, endocrine rappresentano evidentemente un fattore discriminante di particolare rilievo.
D’ altra parte è ben noto che proprio nel sesso femminile, anche nel nostro paese, si registra una crescente incidenza di cancro che, secondo i dati dell’ Associazione dei Registri Tumori Italiani (AIRTUM) presentati proprio per l’ 8 marzo 2008, è dell’ 1% annuo, indipendentemente dalla età. Tutte queste considerazioni, al pari di quelle che si fanno per la salute infantile, sono però parole al vento: nessuno se ne cura ed invece di passare dalle parole ai fatti- ovvero intraprendere azioni concrete per ridurre l’ immissione di sostanze tossiche ed inquinanti nell’ ambiente facendo Prevenzione Primaria - si continua solo ad esprimere buone intenzioni o a “ monitorare” i danni che si continuano a recare.
Da questo punto di vista la gestione dei rifiuti è a dir poco paradossale: da tempo abbiamo capito che i “rifiuti” (o meglio i “materiali post-consumo”) sono risorse, ma, se anche fossero una “malattia”, come viene costantemente propagandato, la “cura” che ci viene prospettata, ovvero il loro incenerimento, è molto peggiore del male, dal momento che ogni processo di combustione trasforma materiali di per sé inerti in composti altamente tossici e nocivi, con danni che sono oggi dettagliamente calcolabili. Sul sito http://ec.europa.eu/research/headlines/news/article_05_10_21_en.html dell’UE è oggi possibile, inserendo alcuni parametri emissivi (NOx, SO2, PM10, VOC..) l’ altezza dei camini ecc. quantificare i danni alla salute e all’ ambiente per ciascuna fonte. Per fare un esempio, ogni anno emissioni simili a quelle dell’ inceneritore di Brescia, secondo tale software che –si badi bene- considera solo una parte degli inquinanti emessi, causerebbero una perdita economica pari a 1.480.000 Euro!
Che altro resta da dire? Il problema dei rifiuti è, in assoluto, il più semplice da risolvere, se solo si facessero scelte coraggiose e chiare: dalla raccolta “porta a porta” al recupero effettivo dei materiali post-consumo. Ma fino a che rimangono i cassonetti stradali, che altro non sono che mini discariche all’ aperto, e fino a che lo stesso gestore gestisce sia la raccolta differenziata che l’ incenerimento e guadagna tanto più brucia, rivendendo a prezzo triplicato la poca energia prodotta, come sperare che si inverta la rotta? Solo la nostra follia può pensare che sia vantaggioso incenerire carta, legno, plastica…preziose materie che poi dobbiamo produrre ex.novo abbattendo alberi od estraendo petrolio.
Allo stato attuale il 98.2% di tutti i rifiuti urbani può essere recuperato come materia, e, per chi ancora non lo sapesse, anche i materiali poli-accoppiati e gli stessi pannoloni diventano – tramite processi di estrusione, senza formazione di alcun inquinante - sabbia sintetica utilizzata in edilizia o per manufatti plastici. In pratica il “secco non riciclabile” che prima andava alla discarica o all’ incenerimento ad un costo medio di 120 Euro a ton, viene venduto al prezzo di 80 Euro a ton sotto forma di sabbia sintetica! Non è utopia, non succede chissà dove, succede nel nostro paese, per la precisione presso ad es. il Centro Riciclo di Vedelago (TV). Qui, senza sovvenzioni pubbliche, si sono creati posti di lavoro stabili e sicuri, senza nocività né per i lavoratori né per l’ambiente. Impianti simili si possono realizzare ovunque in pochi mesi e con investimenti che sono almeno un decimo inferiori rispetto a quelli necessari per realizzare un inceneritore che tratti la stessa quantità di materiali e, fortunatamente, in diverse parti del nostro paese amministratori accorti hanno già imboccato questa strada virtuosa. Se dunque è possibile evitare queste inutili e costose fabbriche di veleni senza il ricatto occupazionale, ma anzi creando lavoro e ricchezza, è facile capire perché non solo cittadini e comitati si sono mobilitati, ma anche centinaia di migliaia di medici in Europa - dal Consiglio Nazionale degli Ordini dei Medici Francese, ai Medici Irlandesi, alla Federazione degli Ordini dell’ Emilia Romagna - sono scesi in campo per chiedere una moratoria sulla loro costruzione.
Ma ancora una volta, proprio all’ interno del mondo scientifico e medico, le voci indipendenti dai grossi poteri economici/finanziari faticano a farsi ascoltare. Quante sofferenze e quanti morti ancora saranno necessari perché finalmente si aprano gli occhi ed i rifiuti cessino di essere risorse solo per chi, incenerendoli, accede, in un mercato drogato, ai vergognosi incentivi che solo l’ Italia riconosce ai “fuochisti” di turno?
Patrizia Gentilini
Portavoce per l’ Emilia Romagna del Coordinamento Nazionale dei Medici per l’ Ambiente e la Salute
13 Aprile 2008