Un libro di cui molti hanno parlato, ma che forse non in molti hanno letto è : Corruzione ad Alta Velocità" di Imposimato Pisauro Provvisionato. Io credo sia un libro fondamentale per capire come funziona la nostra politica e anche quello che c'è dietro le cosiddette grandi opere. Mi ripropongo pertanto di copiarne qui una parte. In questo capitolo si delinea molto bene la persona di Antonio Di Pietro. Ognuno tragga le proprie conclusioni.
DA “CORRUZIONE AD ALTA VELOCITA’”
DI F. IMPOSIMATO G.PISAURO S.PROVVISIONATO
EDIZIONI KOINè nuove edizioni
CAPITOLO VI. L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO
Abbiamo lasciato una domanda in sospeso, un interrogatorio forte. Se a Roma c’era un ben individuato” presidio giudiziario”, costituito da Pacini Battaglia a tutela dei suoi affari e di quelli dei suoi soci, è ipotizzabile che ci sia stata qualche ramificazione a Milano?
Ricapitoliamo: la truffa plurimiliardaria dell’Alta velocità venne scoperta a La Spezia nel 1996. Alcune tracce di quella stessa inchiesta si ritrovano proprio a Milano in un arco di tempo precedente, quello che va dal 1993 al 1995. Non solo la figura di Pacini Battaglia, centrale e nitida nell’inchiesta Enimont, figura che però poi all’improvviso sbiadisce fino a scomparire per riapparire a La Spezia anni dopo. Ma anche molte cose dette dal maneger dell’Agip Santoro a proposito della Tpl. E ancora le sovrapposizioni investigative di Di Pietro con il suo collega romano Castellucci, sempre a proposito dell’Alta velocità.
Eppure furono proprio gli anni compresi tra il 1993 e il 1995 quelli del maggior impegno dei magistrati milanesi impegnati in Tangentopoli. Furono proprio quelli gli anni più sconvolgenti degli equilibri politici, gli anni dell’azzeramento dei grandi e radicati partiti storici, del gran battage della stampa e della televisione che si assumeva il ruolo di mera cassa di risonanza senza il minimo spirito critico, gli anni della celebrazione dei magistrati che ponevano all’ordine del giorno la questione morale. E infine gli anni della creazione della figura del giudice come “eroe” incorrotto e incorruttibile.
Su tutti svettava il dott. Antonio Di Pietro, assunto a simbolo di “mani pulite”, celebrato e osannato nei cortei, ritratto come una rock star sulle magliette dei giovani marciatori. A costui furono offerte tutte le occasioni, i dati materiali le conoscenze giuste per scoperchiare tutte le pentole, anche quella gigantesca dell’Alta velocità.
Eppure Di Pietro non si avvide di nulla o quasi. Mentre eccezionale fu lo zelo su altri fronti d’inchiesta da parte del magistrato di Curno. Ma dove sono finite le confessioni di Enzo Papi che dinanzi ad un pm Di Pietro parlò, nel maggio del 1993, delle mazzette pagate alla Fiat: “Il boccone più ghiotto è quello dell’Alta velocità, un affare inizialmente di 40.000 miliardi, con la Cogefar che assume la guida di due consorzi, che si riservano una larga fetta delle risorse pubbliche. Vincenzo Lodigiani mi fece presente che i partiti chiedevano una tangente del 3%”? E dove sono finite le carte sequestrate a Lodigiani? E le sue dichiarazioni? Piccole, insignificanti distrazioni? Massima concentrazione su un intreccio di corruzione tanto complesso da far scorgere il filo tralasciando la matassa? Oppure Di Pietro non volle scoprire alcunché? Certo impressiona che garante dell’Alta velocità fosse –tra il 1992 e il 1993- quel prof. Romano Prodi, con lui oggi alleato nel movimento “I democratici”Il dubbio si fa più grande quando i pm di Perugia scrivono che i risultati dell’inchiesta di Milano furono tali da “evitare rischi per quegli interessi alla cui salvaguardia Pacini presiede anche in nome e per conto di Necci e dei responsabili della Tpl”. E il Tribunale di Milano, il 1° dicembre del 1997, in sede di riesame, ha confermato che tra i conti di Pacini e i suoi fiduciari e i conti dei dirigenti dell’Eni e della Tpl-Av esistevano evidenti interconnessioni, E che tutti questi conti erano stati svuotati a partire dal primo arresto del Pacini -durato poche ore- nel 1993.
(CONTINUA)
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