mercoledì 21 luglio 2010

L'ARCHIVIAZIONE DEL PROCESSO ENEL A ROVIGO

Di Stefano Montanari

Credo che ormai traspaia in tutta la sua evidenza il fatto che mi sto davvero stancando.

Essere per anni il bersaglio favorito dei trastulli di farabutti e d’imbecilli non è affatto divertente, e ancor meno lo è continuare a spingere un masso in salita per vederlo precipitare a valle non appena la vetta è raggiunta. Se, poi, a questo masso ci sta aggrappata una folla di persone, la fatica e la rabbia s’ingigantiscono.

Ho pazientato con una torma di seminfermi di mente. Ho fatto tutto quanto potevo per spiegare tranquillamente cose che pure non avrebbero avuto bisogno di spiegazione. Ho sempre chiesto un confronto pubblico con tutti i miei accusatori e, tranne la serata recente di Vinovo cui ha partecipato la tenera, in qualche modo eroica, signora andata allo sbaraglio a sostenere palesi assurdità smentite dai documenti e dalla cronologia, nessuno ha mai avuto il coraggio di affrontarmi. Strepitare davanti a migliaia di ragazzotti osannanti - peraltro tutti da assolvere per non aver compreso il fatto - e non dire una parola sulle porcherie supportate; lanciare fango nascosti dietro lo schermo di un computer collocato chissà dove ma sempre a distanza di sicurezza; approfittare viscidamente delle trappole offerte da una burocrazia acefala ed immorale: tutte cose che fanno parte del più volgare repertorio della pusillanimità e dell’ipocrisia mescolate insieme in un cocktail mortale.

Nel clima di squallore in cui siamo ormai costretti a sopravvivere, da tempo, ormai, i farabutti e gl’imbecilli di cui sopra si servono dell’archiviazione del processo penale contro l’Enel (http://www.lexambiente.it/aria/122/4327-Aria.%20Inquinamento%20da%20nanoparticelle%20(disastro%20ed%20omicidio%20colposo).html) per tentare d’invalidare le nostre ricerche, e questo a maggiore dimostrazione dell’ignoranza dei livelli che queste ricerche hanno raggiunto, livelli testimoniati pure dai tentativi di qualche ateneo italiano di appropriarsi dei risultati che noi abbiamo ottenuto ormai anni fa. È ovvio che costoro non hanno alcuna competenza e non hanno capito nulla di quell’archiviazione, ma tant’è.

Chi ne ha voglia, si legga il documento che mia moglie ed io abbiamo scritto.

Si tengano presenti almeno tre cose: 1) noi, pur essendone ufficialmente protagonisti, non siamo mai stati messi al corrente del fatto che il processo era in corso e, dunque, non siamo stati mai ascoltati. Dell’archiviazione e di tutte le enormità riportate nel testo noi siamo stati avvertiti non dal tribunale ma da un amico oltre un anno dopo che il fatto era stato compiuto; 2) i consulenti che hanno portato all’archiviazione non hanno la minima competenza nel settore delle nanopatologie e non ne conoscono le tecniche analitiche (alcune loro critiche cadono proprio per questo al di là dell’assurdo); 3) approfittando della sua morte si attribuiscono al prof. Lorenzo Tomatis, il più grande oncologo italiano, considerazioni che, nella sua onestà, lui non mi ha mai esternato né mai l’avrebbe fatto con chiunque perché fuori delle sue competenze.

Chi ha tratto giovamento da quell’archiviazione? Beh, magari qualcuno provi ad indovinare e stili l’elenco.

Io ho taciuto per lungo tempo e ho sopportato. Adesso, però, basta. Fino a che non sarà reato provare il voltastomaco per questo paese, io lo proverò e lo dirò pubblicamente, a costo di smentire presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, presidente della Camera e altri personaggi che, forse, dimenticano di controllare che cosa stanno dicendo e dimenticando pure che stanno parlando a chi in quel paese ci vive davvero.

http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2010-larchiviazione-del-processo-enel-a-rovigo.html#comments

MORTE DI UN AMORE

http://www.stefanomontanari.net/sito/blog/2009-cara-italia-lamore-e-morto.html#comments


Cara Italia,

Amarti è stata per me una cosa naturale, naturale come lo è amare chi ti ha partorito. Amarti è stato facile, perché il tuo fascino di scrigno di tesori che non hanno uguale mi aveva stregato come aveva fatto per tanti prima di me e come, chissà, continuerà per chi mi seguirà.

Darmi da fare per te al limite delle mie capacità, per modeste che fossero e siano, non mi è costato sacrificio perché quello era l’imperativo categorico cui non avrei mai potuto non rispondere. E ora?

Ora l’amore è svanito in una nuvola di polveri, polveri tutt’altro che romanticamente ultrafini.

Senza che io avessi il diritto di stupirmene, visto che la Storia deve essere maestra, tu sei rimasta il bordello del grido dantesco sul cammino verso il Purgatorio, preda consenziente di satrapetti rapinosi, di faccendieri mutilati di ogni morale, di istituzioni indistinguibili dalle cosche, di araldi di un’informazione truffaldina, di cialtroni strepitanti in piazza. È così che hai ucciso l’amore: mostrando sguaiatamente la tua oscenità.

Io non sono che una delle tue vittime, e non certo la maggiore, ma è inevitabile che ognuno guardi a sé, e quello che io vedo è deludente, deprecabile, vergognoso.

A suo tempo la mia famiglia decise, facendolo in tutta libertà e, dunque, senza altra costrizione che non fosse l’impulso morale, di votarsi ad una ricerca scientifica nata da una scoperta straordinaria capitataci in mano forse per caso. Per questa sprememmo quanto avevamo messo da parte negli anni e per questa sopportammo insulti e angherie.

Se, da una parte, i risultati scientifici furono straordinari e tali promettono di perpetuarsi con la continuazione del lavoro, dall’altra mi sono dovuto imbattere nella feccia della feccia di questa tua società, e chi ha seguito le traversie attraverso cui siamo passati sa di che cosa parlo.

Oggi, dopo averci sottratto per la seconda volta lo strumento principe di lavoro, cioè il microscopio elettronico, ecco che ci chiudono la onlus Ricerca è Vita. Perché? Perché facciamo ricerca. Sì, questa è la motivazione, per stupefacente che sia.

Chi abbia voglia di dare un’occhiata ad Internet e cerchi le onlus che, con più o meno successo, si dedicano alla ricerca ne troverà a bizzeffe, tutte regolarmente aperte e funzionanti. Quelle differiscono pesantemente dalla nostra però: non danno fastidio a nessuno perché le loro ricerche non hanno l’effetto collaterale di minare affari miliardari sulla cui correttezza mi si permetta di eccepire. E differiscono dalla nostra perché non disturbano la vita tranquilla di istituzioni infedeli al proprio mandato.

Cara Italia, certo ne hai viste di peggiori, ma lascia che ti ragguagli brevemente su come la tua Agenzia delle Entrate di Prato ha liquidato la onlus. Un’istituzione (non è difficile indovinare quale) ha fatto notare che Ricerca è Vita si occupa, appunto come rivela il nome, di ricerca e tanto è bastato. Che importa se questo obiettivo era riportato nello statuto che era stato approvato senza difficoltà? Che importa se ad ottobre scorso la onlus era stata controllata e tutto era in regola? Che importa se dalla onlus non è mai stato tolto un centesimo e, dunque, non un centesimo è andato alla ricerca? Come avrà fatto l’Agenzia delle Entrate di Prato a stabilire che la onlus supporta la ricerca? Perché no alla ricerca? L’importante era chiuderci e farlo con decisione retroattiva, tanto per essere più sicuri.

Ora, cara Italia, come per tutti gli amori finiti così, resta la tristezza di una delusione cocente e, lascia che te lo dica, resta uno schifo incoercibile.

Stefano Montanari

P.S. per i donatori che hanno detratto la donazione: Ricerca è Vita li terrà indenni.

domenica 11 luglio 2010

LA GUERRA DI TUTTI

DI ANTONIETTA GATTI

Siamo ogni giorno in guerra e pochi lo sanno. Il nostro corpo, sì: il nostro corpo lo sa e ci avverte, prima
gentilmente, con segnali magari appena percettibili, poi via via più forti, fino ad essere tali da farci
forzatamente ammettere che siamo malati. Così si va dal medico, gli si elencano i sintomi e quello non ne
ricava nulla. Ci prescrive un po’ di tutto, una bella ricetta lunga, un farmaco per ogni sintomo, ma di diagnosi
vera nemmeno l’ombra. Malattie psicosomatiche: stiamo diventando tutti matti. Questa è la diagnosi più
comoda. Di fatto, oggi l’incidenza delle varie malattie non è quella di una tempo, e non parlo di secoli:
qualche anno appena. Chi ha mai visto tante allergie, tante intolleranze alimentari come la malattia celiaca,
tanto per non fare che un esempio, tanti casi di asma? I bambini di oggi sono incomparabilmente più
soggetti a queste malattie rispetto a quelli di appena una generazione fa. Ci sono addirittura malattie o,
meglio, sindromi, vale a dire collezioni di sintomi, per le quali ci si è dovuti inventare un nome, e basti citare
le cosiddette Sindromi del Golfo e dei Balcani. Perché? Che cosa è cambiato così radicalmente in un tempo
tanto breve? Noi siamo addestrati ad omologare il concetto generale di progresso con quello qualificato di
progresso tecnologico. Non è questa la sede per dibattere una questione del genere, ma, dal punto di vista
dell’oggettività, è impossibile negare che l’introduzione massiccia di tecnologie abbia introdotto qualcosa
nell’ambiente che prima non c’era. Lo so, il concetto, la parola stessa fanno storcere il naso a molti, ma quel
qualcosa si chiama inquinamento. Prendiamo ad esempio la polvere cittadina. Trovarci Cerio o Platino dieci
anni fa sarebbe stata un’evenienza rara quando non impossibile. Oggi questi metalli ci sono, stanno sospesi
in aria a livello del naso, sono in forma di granelli minutissimi di polvere visibili solo a fortissimi ingrandimenti
e derivano principalmente dai filtri antiparticolato, i cosiddetti FAP, e dalle marmitte catalitiche. Nei fatti, una
pezza che potrebbe essere peggiore del buco, come si dice da qualche parte, e peggiore perché queste
polveri sono più fini di quelle che si propongono di eliminare, tentando questo in contrasto con le leggi
elementari della fisica. Dunque, quando sono inevitabilmente respirate finiscono altrettanto inevitabilmente
nelle parti più profonde dell’organismo da cui, poi, non escono più e dove fanno guai. Piaccia o no, questo
concetto è ormai inoppugnabile e lo si trova addirittura sui periodici dell’ARPA (Agenzia per l’Ambiente). Noi
di utilizzare o finanche di eliminare, questa roba non siamo capaci: il nostro organismo gradisce solo
Ossigeno e questo gas è in diminuzione percentuale nell’atmosfera, mentre una miriade d’inquinanti d’ogni
specie, tra cui una varietà quasi infinita di nuove polveri, molti dei quali ci sono poco conosciuti o del tutto
ignoti, entrano giornalmente nella nostra “dieta gassosa”. Diamo un’occhiata al numero 21 del 31 maggio
dell'Espresso e all’articolo sul cancro, tutto sommato “buonista”, con tanto di mappe geografiche dei luoghi
più incriminati. I dati epidemiologici indicano che nel nostro Paese, in circa 20 anni, c’è stato un incremento
“tra il e il 20 % di linfomi e leucemie, + del 37% di aumento di mesoteliomi nelle donne. +27% di tumore della
mammella, + 8-10% di tumori al cervello e+14-20% di tumori al fegato.” Ma la cosa più agghiacciante sono i
tumori nei bambini “+ 1.3 % anno per tutti i tumori anche se l’aumento maggiore riguarda il neuroblastoma in
Piemonte.” Ma occorre fare molta attenzione a questi dati epidemiologici. Per eseguire una ricerca di questo
tipo occorrono di norma tempi lunghi, spesso anche ben superiori al decennio, e in questo lasso di tempo
occorrerebbe godere di condizioni stabili. Ciò che accade, invece, è che l’inquinamento progredisce a
velocità crescente e le condizioni d’inizio ricerca sono lontanissime da quelle di fine ricerca, privando così di
una parte di significatività i dati ricavati. Inoltre, esistono malattie che non vengono tradizionalmente legate
all’inquinamento e di queste poco o nulla si tiene conto in queste disamine. Tra queste, molte affezioni come
il Morbo di Parkinson o il Morbo di Alzheimer la cui relazione con “avvelenamenti” ambientali è sempre più
sospetta. Ma con loro, diverse altre patologie neurologiche, della sfera riproduttiva, di quella endocrina, per
non dire di quelle cardiovascolari, dagl’infarti alle tromboembolie polmonari. Inutile, ingenuo e, soprattutto,
deleterio negarlo: “I tumori con forte componente ambientale superano il 50% del totale,” afferma il prof.
Lorenzo Tomatis, monumento dell’oncologia internazionale, sempre che vogliamo limitarci a considerare
solo queste patologie. E queste patologie, tutte, progrediscono, e a livello di mondo globale, assolutamente
in parallelo con il grado d’industrializzazione, un fenomeno che porta con sé non solo fumi con polveri nocive
da respirare ma comporta pure una contaminazione forse ancor più subdola dell’ambiente, ad esempio
dell'erba che gli animali mangiano e del grano, della frutta e della verdura che ci mangiamo anche noi. E
industrializzazione vuol dire anche scarichi di composizione più o meno rivelata che finiscono ovunque, il
che significa spesso nelle falde acquifere e in quell’acqua che va nei fiumi e poi al mare. Lì, nei fiumi e nel
mare, quegli scarichi avvelenano alghe, molluschi e pesci che noi mangiamo. Ma forse fanno anche di
peggio, pur se la cosa non è immediatamente vistosa: avvelenano il plancton, che è ai piedi della catena
alimentare, una catena della quale noi, gli uomini, stiamo al vertice e, minandone le basi, attentiamo
efficacemente a noi stessi. Un concetto basilare e ineludibile dell’ecologia è che un essere vivente che
distrugge il proprio habitat è inevitabilmente destinato ad estinguersi. Noi uomini siamo l’unico animale
inquinante e l’inquinamento che produciamo non siamo capaci di distruggerlo ma solo, e perché l’universo è
concepito in questa maniera e noi non ci possiamo fare nulla, al massimo di trasformarlo, vedi ciò che
combinano gl’inceneritori. Nascondiamo pure tutto sotto il tappeto: alla fine, quel tutto ce lo ritroveremo da
qualche parte dove non dovrebbe esserci. Magari dentro di noi. Di questi meccanismi ne cominciano, e con
apparente sorpresa, a sapere qualcosa i paesi in via di sviluppo, ad esempio la Cina, che hanno visto
crescere esponenzialmente patologie letali là dove è arrivata l'industrializzazione senza accanto la
consapevolezza di ciò che produce questa varietà di progresso. Un esempio per tutti: esiste un luogo,
restando in Cina, dove vengono portati i computer di tutto il mondo. Là, operai estraggono tutto quanto abbia
un valore commerciale, come piccoli pezzi d'Oro o di metalli pregiati che poi sono rivenduti per qualche
dollaro, tanto da permettere loro di mangiare. Questi pezzi vengono dissaldati con piccole combustioni
(dissaldature) senza nessuna protezione per l'operatore. In tempi brevi, questi uomini si ammalano di
patologie polmonari fino al cancro. E l’India non è da meno: laggiù ci sono bambini che recuperano il Piombo
dalle batterie e non sanno che insieme al pane che mangiano senza alcuna consapevolezza e fuori da ogni
igiene ne ricavano anche una contaminazione interna che li porta alla morte precocemente. L’ho detto:
l’organismo prima protesta con educazione, poi reagisce come sa: con la malattia. Le polveri sottili che noi
generiamo, ben più sottili di quelle che anche la Natura genera in modesta quantità ad esempio con i
vulcani, sono capaci di penetrare nelle parti più profonde del nostro corpo, interagiscono con le cellule e
addirittura con il nostro patrimonio genetico, alterandolo in maniera irreversibile. I vari tipi di cancro dei
tessuti, duri e molli, sono l'espressione di quello scontro. Il tutto avviene senza clamore, mentre noi siamo a
goderci il progresso. Distogliere lo sguardo, coprirsi gli occhi come troppo spesso facciamo non serve: basta
solo dare un’occhiata nella giusta direzione e si trova traccia, testimonianza di questi scontri. E' guerra, ma
per ora è una guerra in cui il genere umano è destinato a perdere. I farmaci che stiamo mettendo in campo
sono rozzi e talvolta molto più insidiosi di questa polvere nuova e inaspettata, di tutti questi inquinanti di cui
così poco sappiamo. Alcuni medici, anche di grido, sono immersi fino al collo in questo disastro e non se ne
accorgono. Continuano grottescamente a cercare la spiegazione di queste malattie in molecole del basilico o
ipotizzano altre facezie, magari tessendo invece le lodi di centrali elettriche al carbone di cui non capiscono
neanche il meccanismo ingegneristico o pretendendo d’ignorare le leggi universali della conservazione della
materia. Nel ’56 a Londra ci fu una strage da smog. La gente respirava polvere di carbone, la nebbia che i
londinesi di allora chiamavano affettuosamente “zuppa di piselli” e che era quasi un’attrazione turistica. Si
capì che uccideva. Si disse basta al carbone. Purtroppo la storia insegna solo a chi è in grado di capire e
recepire. Per gli altri, la storia è solo la più fastidiosa e inascoltata delle maestre. Ci sono medici che vedono
che nella loro città queste patologie crescono e tuttavia non arrivano al ragionamento logico di causa-effetto,
pretendendo pigramente “prove sicure”, studi epidemiologici lunghi, costosi e, di solito, mal confezionati,
prima di dare il loro autorevole parere. Gli studi epidemiologici sono fatti da medici e basta, e questi sono
troppo poco esperti di ambiente, del comportamento in atmosfera degl’inquinanti, di chimica, di processi
industriali, di biocompatibilità chimica o fisica delle polveri. Il risultato è che pertanto nello studio non entrerà
la causa vera della patologia o, al massimo, entrerà solo qualche ingrediente della ricetta. E un rischio, non
certo il solo, è quello di eseguire confronti insensati con altre popolazioni. Se, ad esempio, si farà ciò che si
progetta in Emilia Romagna, cioè si valuterà una varietà di patologie entro un raggio di 4 km da un
inceneritore e si confronteranno quei dati con patologie sopravvenute entro raggi di poco superiori, il risultato
sarà che non ci sono differenze e questo sarà un alibi eccellente per assolvere l’inceneritore. In realtà, le
polveri veramente patogeniche, ben inferiori alle PM10, che escono da quegl’impianti si distribuiscono su
territori vasti e, dunque, 4 km o 10 farà poca differenza. Tener conto, poi, solo di alcune malattie
trascurandone altre è un ulteriore elemento di confusione. Ma questo si fa più o meno ovunque perché le
ricerche epidemiologiche sono spesso messe in atto perché diano un risultato prestabilito. E allora si
strombazzeranno risultati non solo inutili, ma, in quei casi, fuorvianti. Più interessante e molto meno
rischioso, se non altro perché meno manipolabile, sarebbe solo il dato censorio, statistico dell’incidenza di
tali patologie. Ciò che più è triste è che la guerra per la nostra sopravvivenza non ha alleati. L’Espresso
mostra una mappa dell’Italia dove ci sono fabbriche con tanto di nome e cognome e intorno cui c’è una
grande incidenza di malattie tumorali. Malattie che, chiedo scusa se mi ripeto, sono tutt’altro che le sole da
considerare. Ci si aspetterebbe che vi fossero in atto misure di contenimento, di prevenzione. Nossignore:
niente di tutto questo. Chi si alza a denunciare la situazione viene zittito, viene tacciato addirittura di
“terrorismo” come se terrorista fosse non chi mette le bombe ma chi tenta di disinnescarle, perché la logica
degl’interessi economici è forte e prevale su qualche bara, anche se la bara è bianca. Esiste poi la lobby del
farmaco. Cancro vuol dire medicine, cioè business, quindi fare prevenzione primaria, quella che evita di
ammalarsi, vuol dire perdita di guadagno. Non ha molta importanza se alcune medicine sono più letali della
malattia stessa, l’importante è vendere. Con il tasso d’incremento del cancro, le multinazionali del farmaco
diventano sempre più ricche. Questo guadagno è in minima parte condiviso con scienziati o, tristemente,
pseudo-tali, non certo per studiare come prevenire il cancro, ma come prolungare la vita al paziente. Più
questo vive, più farmaci consuma. Allora, è una guerra persa in partenza. Ci siamo tutti, ma chi paga il conto
più salato di questa industrializzazione sconsiderata e frettolosa, senza che ci si prenda il tempo di
controllarne sul serio gli effetti, e di tutto ciò che ne consegue, sono i bambini ed i vecchi. E' la strage
degl’innocenti.

giovedì 8 luglio 2010

QUANTA ACQUA USANO LE CENTRALI NUCLEARI?

Oltre a tutti gli altri punti deboli, l’energia nucleare presenta un grosso problema: La quantità spropositata di acqua necessaria per il funzionamento delle centrali. Lo fa notare una lettera comparsa ieri sul sito del Corriere della Sera. L’Union of Concerned Scientists ha anche pubblicato un’equazione che consente di calcolare di quanta acqua ha bisogno una centrale nucleare per il solo raffreddamento.

Se ne deduce che un impianto da 1000 Megawatt (Caorso era da 830 Megawatt) richiederebbe per il raffreddamento quasi un terzo dell’acqua che scorre nel Po a Torino.

La lettera al Corriere della Sera è firmata da Daniele Biagi. I brani secondo me più significativi.

“Forse non tutti i parlamentari sanno che l’elettricità prodotta da una centrale nucleare non viene generata direttamente dalla reazione atomica ma da una convenzionale turbina a vapore“.

“La fissione del materiale radioattivo produce un aumento della temperatura nel cuore della centrale, questa energia sotto forma di calore viene sfruttata per innalzare la temperatura di un’enorme quantità d’acqua, il vapore generato aziona delle turbine capaci di produrre energia elettrica”.

“L’acqua è spesso usata anche come moderatore per evitare che il nucleo raggiunga temperature troppo elevate”.

La lettera cita poi dati ufficiali della Environment Agency inglese a proposito dei “6.637.306 metri cubi d’acqua all’anno usati da un singolo impianto”. Si tratta dell’acqua che la centrale nucleare di Sellafield, ora in disarmo, era autorizzata a prelevare da un vicino lago.

Considera poi la situazione della Francia nucleare, molto più ricca di acqua rispetto all’Italia ma che “ha dovuto più volte rallentare la produzione di energia elettrica delle proprie centrali per mancanza d’acqua!”.

Ancora: “Stime indicano che in Francia il 40% di tutta l’acqua consumata è usata nelle centrali atomiche“. Lo dice Jeremy Rifkin in un’intervista al blog di Beppe Grillo del giugno scorso. Vi si accenna anche ai problemi avuto dalle centrali durante la caldissima e secca estate del 2003.

E infine, l’equazione. L’Union of Concerned Scientist degli Stati Uniti ha pubblicato un dossier intitolato Got Water? sulle necessità di acqua per i soli impianti di raffreddamento delle centrali nucleari e sui connessi problemi di sicurezza.

Il dossier spiega anche come si calcola l’acqua necessaria a raffreddare il reattore: non quella che serve per produrre vapore ed energia elettrica.

L’esempio è riferito ad un reattore in grado di generare 1000 Megawatt, e all’acqua presa da un fiume - o da un lago, o dal mare - e ad esso resa riscaldata.

Ebbene, servono 2.596.792 metri cubi di acqua al giorno. Cioè 108.199 metri cubi d’acqua all’ora, 1.803 metri cubi d’acqua al minuto, 30,05 metri cubi di acqua al secondo. Quasi un terzo della portata del Po a Torino, appunto.

http://www.alternativamente.info/ambiente/quanta-acqua-usano-le-centrali-nucleari.html

mercoledì 7 luglio 2010

STOP INCENERITORI, MEGLIO 200.000 POSTI DI LAVORO"PULITI"

Gli inceneritori impediscono la creazione di migliaia di posti di lavoro

Per favore, non inceneriamo anche il nostro futuro. Cambiamo aria, mettiamo al bando gli inceneritori: costano moltissimo, minacciano la salute, non risolvono il problema dei rifiuti. Queste le parole d’ordine della campagna ambientalista contro gli impianti di incenerimento, denominati “termovalorizzatori”. «Una furbesca interpretazione delle direttive europee – accusa Michele Boato – fa credere che gli inceneritori comportino la riutilizzazione dei rifiuti». Niente di più falso. L’alternativa? La raccolta differenziata porta a porta: investendo appena un miliardo di euro, si ottengono 200.000 posti di lavoro. E senza inquinare, né provocare tumori.

«In realtà, anche se il calore della combustione è utilizzato per produrre elettricità, si tratta sempre di inceneritori a bassissimo recupero di energia», premette Boato: «Riciclare la carta fa recuperare 4 volte l’energia che si produce bruciandola». Per non parlare della plastica: riciclandola, si recuperare fino a 26 volte l’energia prodotta incenerendola. L’Europa, ricordano i promotori della campagna “No Inc” e della rete “Rifiuti zero”, raccomanda soprattutto prevenzione: riduzione dei rifiuti all’origine (vuoto a rendere, prodotti sfusi, liquidi alla spina, compostaggio domestico), nonché raccolta separata dei materiali e utilizzo di merci facilmente riciclabili. Solo in via del tutto subordinata si può ricorrere a discariche e inceneritori.

E’ mistificatorio considerare i “termovalorizzatori” alla strega di centrali termoelettriche, avvertono gli ambientalisti: «Una centrale è progettata per bruciare un combustibile la cui composizione è relativamente costante e il cui inquinamento può essere analizzato e ridotto», a differenza di un altoforno brucia-tutto, nel quale la separazione meccanica per differenziare le tipologie di rifiuti è inefficace: «La grossolana separazione di una frazione “umida” (ed eventualmente del vetro) dal resto, per produrre combustibile derivato dai rifiuti, è mira soltanto a legittimare i grossi affari associati alla vendita di inceneritori o alla riconversione di vecchie centrali termoelettriche dismesse».

Gli inceneritori, aggiungono i promotori della campagna ecologica, possono funzionare bene solo se bruciano materiale combustibile, cioè carta, plastica e legno. «Gli inceneritori impediscono perciò la possibilità di riutilizzare e riciclare la carta e la plastica. Viene così anche vanificato il generoso impegno di tante associazioni di volontariato, scuole e famiglie per la raccolta separata dei rifiuti». E dire che c’è un enorme bisogno di riciclo: «Degli oltre 10 milioni di tonnellate di carta e cartoni “consumati” in Italia, solo poco più di 2,5 milioni sono riciclati e circa 7,5 milioni finiscono in discariche e inceneritori».

La scelta di costruire impianti di incenerimento, inoltre, scoraggia lo sviluppo di tecniche di raccolta separata, frazionamento e commercializzazione delle merci riciclate. Bruciare tutto disincentiva la stessa progettazione di merci più durature, destinate a non trasformarsi subito in rifiuti e, magari, ad essere facilmente riciclate. «Tutte operazioni – osserva Michele Boato – che potrebbero assicurare occupazione e innovazione tecnico-scientifica. In Germania la riduzione dei rifiuti (-16%) e l’aumento del riciclo degli imballaggi iniziati con il decreto Toepfer del 1991 ha mandato in crisi gli inceneritori programmati e costruiti dal 1980 al 1995».

Da noi invece si comincia a fare i conti con quella che si annuncia come la “peste” del duemila. Bruciando carta, legno e soprattutto plastiche, si liberano nell’aria metalli tossici, micro-particelle e nanopolveri, nonché acidi, diossine, Pcb. «Sostanze tossiche e altamente cancerogene, che non sono significativamente filtrate neanche dai più sofisticati mezzi di abbattimento». Dai documenti ufficiali europei risulta che in Italia il 64% delle diossine è prodotto proprio dagli impianti di incenerimento, sottolineano i promotori della campagna verde.

La normativa italiana è «inadeguata a tutelare la salute», visto che un inceneritore può “legalmente” immettere nell’ambiente sostanze nocive, «compresi cancerogeni certi, in quantità rilevanti, e con controlli assai poco soddisfacenti». Un esempio: un inceneritore da 800 tonnellate di rifiuti al giorno, rispettando i limiti di legge, emette 504.000 nanogrammi quotidiani di diossina. Subito dopo il traffico, aggiunge Boato, «le emissioni degli inceneritori sono una delle cause principali del moltiplicarsi di malattie degenerative in Europa, con enormi costi sociali».

E’ ora di chiedere, quindi, la messa al bando dei “termovalorizzatori”, imitando la richiestra peraltro già avanzata dall’ordine nazionale dei medici francesi e da quello regionale dell’Emilia Romagna, preoccupati per il ruolo delle ceneri nell’atmosfera che respiriamo. Il residuo rappresenta il 25% del peso dei rifiuti trattati e contiene sostanze facilmente solubili in acqua. «Costruire inceneritori comporta quindi la creazione di discariche speciali, con ulteriori effetti ambientali su acque superficiali e sotterranee». Dov’è allora il vantaggio dell’incenerimento?

Non certo nel portafoglio dei contribuenti: «Bruciare i rifiuti – dichiara Boato – costa molto più che raccoglierli separatamente e riciclarli: da 100 a 300 euro a tonnellata». La “convenienza” economica, aggiunge, «sta tutta nella truffa del finanziamento statale: che paga, coi nostri soldi, l’energia elettrica prodotta dagli inceneritori». Energia pagata «circa 18 centesimi al kilowattora», ovvero «oltre 4 volte il suo prezzo di mercato». Per Boato si tratta di «un conto truccato, che paghiamo noi cittadini con le tasse e le bollette».

Alternative? L’opzione rifiuti-zero e la raccolta differenziata porta a porta. «In Italia – rilevano i promotori della campagna – molte decine di Comuni, non solo piccoli, superano l’80% di raccolta differenziata e qualcuno sta puntando a superare il 90%». Questi risultati si ottengono con una buona informazione e il coinvolgimento degli abitanti, verso un sistema di raccolta “domiciliare”, in giorni diversi per tipo di rifiuti; questo facilita il riciclo e, rivendendo alle industrie i vari materiali (carta, vetro e metalli) si riducono i costi complessivi e le tasse sui rifiuti. «Anche il residuo finora chiamato “non riciclabile” viene ora trasformato, con tecnologia italiana, in una “sabbia” per arredi da esterno e calcestruzzi».

Investendo meno di un miliardo di euro, assicura Boato, il governo può servire con la raccolta domiciliare i 45 milioni di italiani non ancora raggiunti dal servizio. «Si creerebbero così non meno di 200.000 posti di lavoro, contro i soli 3.000 occupati che lavorano tra inceneritori e discariche», impianti peraltro del costo di 10-15 miliardi di euro. «La ricaduta occupazionale del riciclo rispetto all’incenerimento è di mille posti a uno: questa sì che è “economia verde”».

martedì 6 luglio 2010

L'inquinamento da polveri sottili può provocare malattie cardiocircolatorie

ANSA) - MILANO, 5 LUG - Basta passeggiare per una settimana in una citta' inquinata, e lo smog puo' cambiare il Dna di una persona fino a favorire la trombosi. Coaguli di sangue che nei casi piu' pericolosi portano a ictus o infarti. 'Gli effetti dell'inquinamento atmosferico non si fermano all'apparato respiratorio - spiega Andrea Baccarelli, responsabile del Centro di epidemiologia molecolare del Policlinico di Milano - ma coinvolgono molti altri distretti dell'organismo, tra cui il sistema cardiocircolatorio'

Questa non è una novità come ci spiega il Dott. Stefano Montanari in questa pubblicazione del settembre 2007

da: Stefano Montanari - L'insidia delle polveri sottili e delle nanoparticelle. Ed. MACRO Edizioni pag. 16/17 Sett. 2007

"Abbiamo visto poco fa come il particolato sia in grado di passare dai polmoni al sangue, ed è già nel sangue che riesce a fare qualche guaio.
Il sangue contiene una proteina solubile chiamata fibrinogeno e questa ha la capacità di mutare la propria natura chimica polimerizzando e solidificandosi quando venga in qualche modo “disturbata”, per esempio dalla presenza di un corpo estraneo. Se è vero che il fenomeno avviene in ogni soggetto, è altrettanto vero che, di norma, questa formazione viene contrastata dai sistemi biologici che tengono in equilibrio l’organismo, ma in soggetti particolari ,tutt’altro che delle rarità, l’equilibrio non viene recuperato. La forma solida di questa proteina, chiamata fibrina, è lo scheletro su cui si forma il trombo, una massa più o meno solida costituita, oltre che da un reticolo di fibrina, da piastrine, globuli rossi e globuli bianchi. In particolari condizioni particelle presenti nel sangue possono innescare la reazione. Come si è detto all’inizio, inn ambito venoso questo trombo che si è formato nel lume della vena e non è adeso alla parete del vaso migra per entrare nel circolo polmonare, dando luogo a un’ostruzione delle arterie polmonari (si chiamano arterie ma contengono sangue venoso), una condizione detta tromboembolia polmonare e che è una delle cause più frequenti di morte. Quando si è in ambito arterioso il fenomeno descritto può portare all’occlusione delle arterie di calibro più o meno importante nell’organo che diventa il bersaglio occasionale del trombo libero di galleggiare nel sangue e di esserne trasportato. La condizione, che non è necessariamente riferita al cuore si chiama infarto. Questo fenomeno da noi descritto da tempo, compare ora pubblicato da altri autori nella letteratura medica internazionale."

domenica 4 luglio 2010

Il Mar Rosso diventa nero. Di petrolio

Da metà giugno al largo di Hurghada si combatte contro uno sversamento che minaccia le famose spiagge amate dai turisti. La notizia censurata?


Mentre il mondo punta gli occhi sul Golfo del Messico, chiedendosi se e quando finirà la fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma BP e quanto sono e saranno evitabili in futuro tragedie di questo genere, più vicino all'Italia e nella disattenzione generale si consuma un'altra piccola tragedia offshore.
La notizia me la ha segnalata un amico, Paolo Montrasio, chiedendomi e chiedendosi: perché non se ne parla?
In effetti, salvo che mi sia sfuggito, non se ne parla. E non perché sia appena accaduto, va avanti da metà giugno la "marea nera" del Mar Rosso.
Il primo lancio di agenzia che ho rintracciato è del 23 giugno, ma si riferisce a un fenomeno già in atto: dice che il governo egiziano ha assicurato che sta facendo ogni sforzo per scoprire la fonte dell'inquinamento petrolifero che ha interessato le coste del Mar Rosso. Secondo Magdi Radi, il portavoce del governo egiziano, la fuoriuscita di petrolio potrebbe provenire da una delle piattaforme offshore nel Mar Rosso a nord di Hurghada o anche da una petroliera. Il ministro del petrolio egiziano, Sameh Fahmi, ha sottolineato che «Sono stati prelevati dei campioni nelle zone petrolifere vicino a delle piattaforme per identificare la provenienza».
Il 30 giugno, su CNR.media.com, la situazione sembra precisarsi, con dati e nomi: "Le famose spiagge egiziane di Hurghada, che attirano migliaia di turisti ogni anno, sono minacciate dalla fuoriuscita di greggio da una piattaforma della Gesuim Oil Company. La notizia è stata occultata per giorni dal governo. Già morti centinaia di tartarughe, pesci, delfini. La prima macchia nera era stata avvistata il 19 giugno ma la notizia è stata divulgata solo quando ormai aveva raggiunto la costa. Nel Mar Rosso si annuncia una nuova catastrofe ambientale con centinaia di tartarughe, delfini, pesci e specie morte o in agonia. Le immagini, arrivate da poco, rimandano al recente guasto nell'impianto della BP nel Golfo del Messico. Certamente quello della Deep Water ha effetti molto più devastanti ma le implicazioni per la British Hurghada, così si chiama il paradiso ecologico e turistico colpito dalla fuoriuscita del greggio, potrebbero essere preoccupanti. Le prime voci parlano di una fuoriuscita da una piattaforma di gestita dalle Geisum Oil Company, sussidiaria della Egyptian General Petroleum Corporation, situata su uno spuntone roccioso a 35 chilometri dalla costa. Il ministro del petrolio egiziano, Sameh Fahmy, ha comunicato poco fa che l'origine della falla non è ancora stata individuata con certezza. Il primo ministro Ahmed Nazif invece ha preferito non commentare la notizia. C'è da dire che l'Egitto non è nuovo a episodi di copertura di disastri ambientali causati da aziende statali. Un'altro motivo per cui la notizia potrebbe essere stata coperta finora è il danno che potrebbe provocare nel flusso di turisti che ogni anno affollano le spiagge di quella regione che ha come principale attività di sussistenza proprio il turismo".
Ecco. La notizia è peraltro ripresa pari pari dal sito allAfrica e ricompare poi su qualche blog dove si lamenta appunto il silenzio calato sulla vicenda.
Sono notizie frammentarie e per questo ancora più allarmanti che raccontano di una marea nera fuori controllo tenuta a bada con barche di pescatori, retyi e spugne là dove nel Golfo del Messico nemmeno le più sofisticate tecnologie sembrano in grado di arginare il diastro. A due passi dall'Italia e dal Mediterraneo.

http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=90&ID_articolo=467&ID_sezione=163&sezione=

Gulf Cost. centrali nucleari a rischio marea nera?

LIVORNO. Tre associazioni ambientaliste, Beyond Nuclear, Three Mile Island Alert e Unplug Salem, che negli usa vengono chiamati "nuclear watchdog groups" hanno lanciato l'allarme per i guai che potrebbe provocare alle centrali nucleari costiere la marea nera provocata dall'esplosione e dall'affondamento della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico, visto che utilizzano acqua di mare per il raffreddamento di pompe e di altri dispositivi di sicurezza.

Il 14 giugno i rappresentanti delle tre associazioni hanno scritto una lettera alla Nuclear Regulatory Commission Usa (Nrc), Coast Guard, al Department of Homeland Security e alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) per chiedere informazioni sulla fuoriuscita di petrolio e sulle iniziative prese per proteggere da eventuali danni i sistemi di sicurezza delle centrali nucleari.

Scott Portzline, che segue la vicenda per Three Mile Island Alert, ha detto che «Finora non abbiamo ricevuto una risposta ufficiale. Ma non è insolito. Di solito dalla Nrc non si sente nessuna risposta per almeno un mese».

I nuclear watchdog chiedevano che le Agenzie federali e statali garantissero che stanno coordinando gli sforzi per prevenire problemi di sicurezza nelle centrali nucleari costiere. «Anche se l'acqua di mare non è utilizzata per raffreddare i reattori stessi, viene usata nei sistemi di raffreddamento secondari degli impianti. Ci sono preoccupazioni che la contaminazione potrebbe danneggiare tali sistemi».

Nella lettera le associazioni chiedevano informazioni dettagliate sul monitoraggio dello sversamento di petrolio sotto la superficie e ciò che stanno facendo per difendere le centrali nucleari dall'arrivo di greggio, disperdenti chimici e idrati e metano disciolti.

Secondo l' Institute for Southern Studies, tra le centrali nucleari che potrebbero essere toccate dalla marea nera c'è quella di Progress Energy, il Crystal River plant (nella foto), sulla costa della Florida, quella di Tukey Point della Florida Power & Light e le centrali nucleari d St. Lucie sulla costa meridionale atlantica della Folrida.

Quelle dei no-nuke americani non sono fisime: già il 12 maggio, a 22 giorni dall'incidente della piattaforma Bp, il Department of energy's office of electricity delivery and energy reliability ha riconosciuto l'esistenza di rischi potenziali: «Se l'approvvigionamento idrico per queste strutture venisse contaminato dal greggio, i sistemi di raffreddamento ad acqua potrebbe essere danneggiati».

Anche Progress Energy aveva annunciato che stava tenendo sotto controllo la marea nera e che aveva approntato un sistema dio barriere galleggianti per difendere i canali di acqua di marina dai quali succhia l'acqua per la centrale di Crystal River, che è attualmente è chiuso per lavori di riparazione.

«Se il petrolio si avvicinerà alle nostre centrali - ha detto l'impresa nucleare - lavoreremo con i nostri oil spill-response contractor per aumentare le misure di protezione esistenti».

D'altronde, come sa molto bene Unplug Salem, esiste già un precedente riguardo alla chiusura di una centrale nucleare a causa di uno sversamento petrolifero: nel 2004 la centrale di Salem, a Lower Alloways Creek, nel New Jersey, fu chiusa per due settimane dopo che una petroliera sversò 165.000 galloni di greggio vicino a Philadelphia, un'inezia rispetto all'olocausto ambientale e di biodiversità in corso nel Golfo del Messico. Beyond Nuclear, Three Mile Island Alert e Unplug Salem fanno notare che in quell'occasione «I funzionari della Guardia Costiera non avevano il numero di telefono della centrale nucleare. Così hanno chiamato il presidente del gruppo Unplug Salem a casa nel bel mezzo della notte. Vorremmo essere certi che questa volta nessuno sia colto di sorpresa», scrivono i nuclear watchdogs nella loro lettera alla Nrc.

Gli ambientalisti sono preoccupati anche per le centrali ad olio e carbone della regione, potrebbero subire gli stessi effetti a causa della marea nera. La Southern Co ha già messo delle barriere galleggianti alla sua centrale a carbone James F. Crist, nella Florida nord-occidentale, dove l'impianto prende l'acqua dall'Escambia River, un fiume che sfocia nella Pensacola Bay, già inquinata dal petrolio della piattaforma Bp, la compagnia energetica tiene sotto sorveglianza anche la situazione di un'altra centrale, la Jack Watson, a Gulfport, nel Mississippi.

http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=5647