RISCHIO KRSKO
LA CENTRALE NUCLEARE DI KRSKO
La centrale nucleare di Krsko rappresenta uno dei maggiori rischi per la sicurezza dell’Italia settentrionale, dell’Austria meridionale (Carinzia), della Slovenia e della Croazia.La centrale di Krsko ha in funzione un reattore Westinghouse da 632 MW che fin dall’inizio dell’attività (iniziata nel 1983 con 5 anni di ritardo sui tempi previsti causa problemi tecnici) ha manifestato numerosi problemi.
Una Commissione Internazionale nominata, su pressioni di Austria ed Italia, per verificare gli standard di sicurezza della centrale già nel 1993 espresse 74 raccomandazioni sui cambiamenti tecnici e procedurali necessari per adeguare l’impianto alle più severe normative dell’UE. Uno dei principali problemi dell’impianto è costituito dalle incrinature dei generatori di vapore che determinano perdite (con fuoriuscita di radionuclidi che vengono dispersi nell’atmosfera); questo problema è d’altronde noto presentandosi in tutte le centrali che utilizzano il reattore Westinghouse.
Per cercare di tamponare questo grave inconveniente, nella primavera del 2000 vennero installati due nuovi generatori dalla NEK in seguito ad un’accordo sottoscritto con il consorzio Siemens/Framatome. Il costo di tale intervento fu di 205 milioni di marchi.
Dopo questo intervento venne approvato un aumento della produzione del 6% (45 MW) con i conseguenti rischi di sovrasfruttamento del reattore e senza che i problemi dei generatori fossero stati definitivamente risolti. Attualmente la centrale ha una produzione superiore ai 700 MW.Altro problema per la sicurezza della centrale riguarda il rischio sismico. Il sito di Krsko è infatti uno dei meno adatti per localizzarvi una centrale nucleare vista la presenza di faglie (cancellate nello studio geologico prodotto per il progetto).
L’incertezza sul rischio sismico è rimasta insoluta negli anni, poichè anche lo studio finanziato dall’Unione Europea in vista dell’ingresso della Slovenia era di portata limitata; infatti esso utilizzava un solo metodo di indagine (sismica a riflessione), arrivava solo a una profondità di 3000 metri, prendeva in considerazione un’area di soli 10 Km e non si estendeva oltre i confini della Slovenia.
I primi risultati dello studio sono disponibili dall’autunno del 2000, ma non sono stati resi pubblici. E’ comunque evidente che, secondo il progetto originale, Krsko non sarebbe in grado di resistere ad un terremoto molto forte.
La faglia che passa vicino alla centrale nucleare è all’origine dei disastrosi terremoti che ciclicamente colpiscono l’area e che hanno completamente distrutto Lubjiana due volte negli ultimi 500 anni (1511 e 1895).
Altro grave problema per la sicurezza è quello relativo allo smaltimento delle scorie radioattive. La Slovenia non ha una destinazione finale per i rifiuti nucleari, ma solo due siti di stoccaggio temporaneo, e la questione di una soluzione definitiva per i rifiuti prodotti nella fase operativa e dallo smantellamento (previsto dopo il 2024) è stata differita al termine del funzionamento dell’impianto.
Dopo l’ingresso nell’UE la Slovenia avrebbe dovuto trovare una soluzione definitiva per lo smaltimento dei rifiuti nucleari (problema irrisolto), migliorare la sicurezza generale dell’impianto e garantire uno status indipendente all’Autorità di sicurezza nucleare. La centrale nucleare di Krsko è tra quelle a maggiore rischio esistenti nei paesi dell’est europa entrati o in procinto di entrare nell’Unione Europea.
Questo l’elenco degli impianti ad alto rischio di incidenti: Kozlodui 1 - 4, Kozlodui 5 - 6 (Bulgaria), Ignalina 1 - 2 (Lituania), Dukovany 1 - 4, Temelin (Rep. Ceca), Cernavoda 1 (Romania), Bohunice 1 - 2, Bohunice 3 - 4, Mochovce 1 - 2 (Slovacchia), Krsko (Slovenia), Paks (Ungheria).
La centrale di Krsko è tra queste quella con le maggiori probabilità di incidente catastrofico.
Nonostante questa situazione tuttaltro che tranquillizzante il governo sloveno sta valutando la possibilità di ampliare la centrale sostituendo il vecchio reattore che esaurirà la sua vita operativa entro il 2030, con uno nuovo di potenza di almeno 1.000 Mw. Krsko 2 avrebbe il vantaggio di appartenere esclusivamente alla Slovenia (la vecchia centrale è un’eredità della vecchia Jugoslavia ed è stata divisa tra Slovenia e Croazia) senza quindi gli attuali condizionamenti sulla fornitura di energia previsti dagli attuali accordi con la Croazia.
LE CONSEGUENZE IN CASO DI INCIDENTE RILEVANTE ALLA CENTRALE DI KRSKO (LIVELLO 7 DELLA SCALA INTERNAZIONALE DEGLI EVENTI NUCLEARI - INES)
Escludendo gli incidenti di bassa intensità, che avvengono purtroppo con una frequenza elevata nella centrale a causa di una progettazione difettosa (ricordiamo i gravi problemi ai generatori di vapore con dispersione di radionuclidi nell’atmosfera) ci occuperemo del rischio di incidente catastrofico determinato da un sisma di magnitudo pari a 9 gradi della scala Mercalli Siebert. La centrale non risulta infatti secondo gli standard di sicurezza europei e statunitensi essere in grado di sopportare un terremoto di tale intensità. Il rischio di una reazione nucleare a catena (tipo Chernobyl) con surriscaldamento del nocciolo del reattore sarebbe quindi elevato con conseguente dispersione nell’atmosfera di ingenti quantitativi di gas e materiali radioattivi (aerosol di combustibili - uranio e plutonio - e prodotti di fissione quali iodio 131, stronzio 90, cesio 137) che, a seconda dell’altezza raggiunta (in caso di esplosione del nucleo del reattore i radionuclidi arriverebbero a qualche Km di altezza) e delle condizioni metereologiche ricadrebbero su un territorio di vaste dimensioni abbracciante oltre che la Slovenia e parte della Croazia, l’Italia settentrionale e centrale (in particolare sarebbe fortemente colpito il Triveneto) e l’Austria meridionale (Carinzia). Le città maggiormente esposte sarebbero Lubiana, Zagabria, Klagenfurt, Villach, Graz, Trieste, Gorizia, Udine, Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona.
Si possono individuare le seguenti fasce di esposizione (si definisce di seguito la dose assorbita espressa in Gray e si prendono in considerazione solo le zone che sarebbero interessate da una ricaduta di radionuclidi con dirette conseguenze sulla popolazione):- entro i 150 Km dalla centrale con esposizioni comprese tra 10 e 50 Gy (Lubiana, Zagabria, Pola, Fiume, Trieste, Gorizia, Klagenfurt, Villach, Graz). In particolare Trieste in caso di venti forti da nord - est (bora) verrebbe investita dalla nube radioattiva entro due ore dall’incidente.- tra i 150 e i 250 Km con esposizioni comprese tra 5 e 10 Gy (Udine, Pordenone, Pola, Venezia, Treviso, Belluno).- tra i 250 e i 400 Km con esposizioni comprese tra 2 e 5 Gy (Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, Ferrara, Mantova, Brescia, Trento, Bolzano, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, Rimini, Forlì, Ancona, Firenze Salisburgo, Innsbruck, Monaco).- tra i 400 e i 500 Km con esposizioni comprese tra 0,5 e 2 Gy (Milano, Bergamo, Piacenza, Pavia, Cremona, Sondrio).
Complessivamente, da un incidente catastrofico alla centrale di Krsko, verrebbero colpite circa 30 milioni di persone di cui circa 5 milioni a rischio di vita.I valori di dose radioattiva sono calcolati prendendo a riferimento l’unico incidente di questo tipo verificatosi, ovvero quello di Chernobyl. Le zone interessate dal Fall - Out radioattivo sono indicative in quanto sulla reale esposizione sono determinanti le condizioni metereologiche al momento dell’incidente.
LE MISURE DI PREVENZIONE IN ITALIA
Di fronte ad una situazione così grave, quali sono le misure di prevenzione messe in atto in Italia (ovvero il paese che verrebbe maggiormente colpito dalla catastrofe nucleare)? La risposta è purtroppo sconfortante: nessuna! Esaminiamo ora il caso della regione Friuli Venezia Giulia, direttamente confinante con la Slovenia e che per prima ed in maniera più pesante dovrebbe subire le tragiche conseguenze del fall - out radioattivo.In base al Decreto Legislativo n° 230 del 17 marzo 1995, modificato ed integrato dal D.Lgs 241/2000, in attuazione delle Direttive 89/618/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, lo Stato deve provvedere alla tutela della popolazione potenzialmente esposta a eventi incidentali negli impianti nucleari tramite la realizzazione di Piani di emergenza (art. 115).
I piani di emergenza devono essere realizzati oltre che per gli impianti esistenti sul territorio nazionale, anche per aree con rischio di incidenti nucleari :a) in impianti al di fuori del territorio nazionale;b) in navi a propulsione nucleare in aree portuali;c) nel corso di trasporto di materie radioattive;d) che non siano preventivamente correlabili con alcuna specifica area del territorio nazionale.
Parte fondamentale dei Piani di emergenza è la campagna di informazione della popolazione che, come stabilito dall’art. 129 è obbligatoria; le informazioni devono essere sempre accessibili al pubblico e devono essere fornite senza che la popolazione debba richiederle.L’art. 130 prevede che la popolazione venga regolarmente informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza nucleare.L’informazione deve comprendere almeno i seguenti elementi:a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente;b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative conseguenze per la popolazione e l’ambiente;c) comportamento da adottare in tali eventualità;d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione in caso di emergenza radiologica.Responsabile dell’attuazione dei dispositivi dei Piani di emergenza e dell’informativa alla popolazione previsti dalla Legge è il Prefetto che si avvale di un Comitato del quale fanno parte i rappresentanti delle forze dell’ordine, dei Vigili del Fuoco, del Servizio Sanitario Nazionale, del Genio Civile, dell’Esercito, della Marina, dell’ANPA, degli Enti locali (Regione, Provincie, Comuni). La Direzione Civile Nazionale (Presidenza del Consiglio dei Ministri) deve essere costantemente aggiornata dei Piani di emergenza locali per potere coordinare un’emergenza di vasta scala che coinvolga più regioni.
Nella regione Friuli Venezia Giulia (ma lo stesso vale per le altre regioni Italiane che verrebbero coinvolte in caso di incidente a Krsko) il D.Lgs n. 230 del 17 marzo 1995 viene completamente disatteso non venendo attuata quella che è la base di qualsiasi seria campagna di prevenzione ovvero l’informazione e l’addestramento della popolazione all’emergenza nucleare. I piani di emergenza vengono gelosamente custoditi nei cassetti, forse nella speranza che mai si verifichi un serio incidente. Le conseguenze della mancata campagna di prevenzione sarebbero gravissime in caso di fall - out radioattivo. La popolazione impreparata ad affrontare l’emergenza sarebbe presto preda del panico con risultati disastrosi. Riferendosi solo alla città di Trieste, la più vicina a Krsko, si pensi che, la nube radioattiva potrebbe raggiungere la città in sole due ore dall’incidente nel caso in cui vo fossero forti correnti da nord est (bora). I tempi di reazione dovrebbero essere rapidissimi e ogni cittadino dovrebbe sapere cosa fare senza attendere improbabili comunicazioni da parte degli Enti pubblici (se l’incidente capitasse di notte come si riuscirebbe ad avvisare la popolazione?).
LE STRUTTURE PER GESTIRE L’EMERGENZA
In caso di incidente nucleare dovrebbero essere impiegati i reparti operativi specializzati della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, delle forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia), dell’Esercito e della Marina. Questi reparti avrebbero il compito di verificare il livello di inquinamento radioattivo e garantire alla popolazione gli approvigionamenti necessari, i trasporti ai centri di decontaminazione, nonchè di organizzare l’evacuazione nei centri di raccolta al di fuori dell’area di rischio. Solo nel caso della provincia di Trieste si tratterebbe di gestire circa 250.000 persone in un’ambiente fortemente contaminato. A causa della contaminazione, la popolazione non potrebbe utilizzare l’acqua degli acquedotti e la maggior parte delle riserve alimentari presenti nell’area contaminata (l’assunzione di alimenti contaminati determina delle conseguenze irreversibili). Per espletare quest’opera immane non sarebbero sufficenti i circa 8.000 volontari della Protezione Civile regionale, che oltretutto non hanno una preparazione valida per affrontare tali emergenze (si consideri che a Trieste la Protezione Civile Comunale non è nemmeno operativa!), e le poche centinaia di uomini messi a disposizione dalle forze dell’ordine e dalla forze armate. La dotazione di questi reparti, in materia di inquinamento radioattivo inoltre è largamente incompleta; mancano le tute NBC e le maschere antigas (con gli opportuni filtri), i rilevatori di radiazioni , i dosimetri personali (che consentono di vedere quante radiazioni si stanno assorbendo e quindi permettono di non superare la soglia di rischio), i contatori geiger. Si renderebbe quindi impossibile utilizzare tutti i reparti allertati, vuoi per impreparazione del personale, vuoi per mancanza di attrezzature.Analogo discorso per le strutture sanitarie, dovrebbero essere attrezzate i centri di decontaminazione in cui dovrebbero essere accolte le persone contaminate (che dovrebbero essere curate in sale predisposte appositamente in cui si dovrebbe procedere al lavaggio dei pazienti) che dovrebbero essere, nei casi più gravi ospedalizzate e curate con iodoprofilassi. Il personale sanitario, trattando le persone irradiate, è sempre a rischio di contaminazione (rilascio di liquidi corporei, ferite dei pazienti con perdite di sangue, vomito, feci, urine) e senza la possibilità di sostituzione.
Si consideri che nelle prime fasi di un’incidente nucleare rilevante la popolazione, senza avere potuto avere una campagna di informazione per ridurre i rischi di esposizione, verrebbe pesantemente contaminata rendendo necessari i ricoveri (solo nel caso di Trieste) di decine di migliaia di persone. Le strutture sanitarie non sono attrezzate per gestire una tale massa di pazienti (può essere garantita al massimo l’assistenza a poche centinaia di persone) necessitanti oltretutto di cure specialistiche estremamente complesse e di lunga durata. Tutto questo si verificherebbe inoltre in un’arco di tempo limitatatissimo di poche ore (gli interventi di decontaminazione devono essere realizzati rapidamente nelle prime ore in cui il paziente è stato irradiato per avere qualche speranza di successo).
LA MANCANZA DELLA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE PREVENTIVA
Ecco perchè, difronte ad uno scenario di questo tipo, che porterebbe ad una catastrofe di proporzioni enormi, è assolutamente necessario procedere ad una seria campagna informativa della popolazione attuando semplicemente quanto previsto dalle leggi esistenti. Per ridurre in maniera esponenziale il numero delle vittime di un deprecabile incidente nucleare catastrofico, basterebbe informare i cittadini in particolare su come:- isolarsi nelle unità abitative sigillandole anche con materiale di fortuna (sigillare le finestre con teli di plastica)- evitare l’assunzione di cibo e liquidi contaminati (quindi niente acqua di rubinetto e verifica della radioattività dei cibi)- rivolgersi agli Enti preposti (specificare quali) a gestire l’emergenza nucleare (dovrebbero essere subito resi noti i numeri telefonici dei centri operativi che dovrebbero assistere i cittadini).
Dovrebbero essere comunicate ai cittadini quali sono le strutture antiatomiche (gallerie, grotte ecc.) esistenti nella propria città e le modalità di accesso alle stesse.
Dovrebbero essere inoltre resi noti quali sono i centri di raccolta previsti per l’evacuzione della popolazione (altrimenti in caso di emergenza si genererebbe il caos) e quali sono le procedure di evacuazione previste.Dovrebbero essere forniti, non solo alle unità operative di emergenza, strumenti di misura delle radiazioni (ad esempio ai gruppi già attivi nel settore - vedasi associazioni di volontariato che operino nel settore ambientale o sociale) per consentire un efficace controllo delle esposizioni a livello territoriale. Tutto il personale coinvolto dovrebbe essere regolarmente addestrato all’utilizzo delle apparecchiature. Le maggiori responsabilità della mancata campagna di informazione preventiva e dell’addestramento della popolazione in caso di emergenza radioattiva sono sicuramente da ascrivere a carico della Direzione Nazionale della Protezione Civile (Dipartimento della Presidenza del Consiglio) che, dovrebbe provvedere a verificare in tutte le regioni italiane:
1) l’esistenza dei piani di emergenza
2) la loro applicabilità
3) le campagne di informazione della popolazione condotte a livello locale
4) la reale preparazione dei reparti assegnati alle emergenze nucleari.
La Direzione Nazionale dovrebbe inoltre fornire, alle autorità locali, tutto il materiale informativo da distribuire alla popolazione ed anche i kit di emergenza da consegnare ad ogni famiglia nelle zone a rischio (quelle in cui esistono i piani di emergenza). I kit dovrebbero contenere:
1) 1 Dosimetro (per verificare la dose di radiazione assorbita nelle abitazioni e il livello di contaminazione degli alimenti)
2) Almeno 4 tute protettive (compresi i guanti e gli stivali di gomma) per famiglia (la tute una volta contaminate devono essere buttate)3
) Teli di plastica in numero sufficente per sigillare le finestre di un’abitazione di 100 m4) Almeno 4 maschere antigas per famiglia compresi i filtri.
http://www.greenaction-planet.org/index.php?option=com_content&task=view&id=26&Itemid=34
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