DA “IL GIRONE DELLE POLVERI SOTTILI”
Di Stefano Montanari
Ed .Macro Edizioni
1° edizione gennaio 2008
CAPITOLO 2
Invidiare qualcuno non fa parte del mio repertorio di difetti, che pure sono tanti a detta di chi è convinto di conoscermi e sono ancora di più per chi mi conosce sul serio, cioè me stesso. Tra questi difetti l’invidia non c’è. C’è, invece, una malinconica ammirazione per coloro che, magari senza accorgersi della loro presunzione, dicono: “Se rinascessi rifarei esattamente quello che ho fatto”.Io, no. Forse qualcosa rifarei, ma ben poco. E la prima cosa che non rifarei per tutto l’oro del mondo è ficcarmi in testa un catino da barbiere come fece Don chisciotte e stivare sotto quel catino l’idea che sia mio dovere salvare il mondo, un’idea balzana che non riesco a cavarmi dal cervello. Come le vecchiette cui il boy scout vuole a tutti i costi far attraversare la strada anche se quelle vorrebbero stare dove sono, il mondo come lo concepiamo noi non ha alcuna intenzione di essere salvato. Eppure io non so resistere alla tentazione e mi manca il coraggio di essere vile.
Ci provo, ma poi mi attraversa la testa un’immagine di bambini, un’immagine che non so dire se sia la fotografia di qualcosa di reale o un iperrealtà che mi si è costruita dentro. Tanti anni fa per motivi di lavoro mi sono trovato a frequentare il reparto di Oncologia Pediatrica di un grande ospedale. Sono entrato. C’era un tappeto su cui stavano seduti dei bambini con un cranio ossuto e pelato da cui sporgevano oscenamente le sfere degli occhi. Giocavano? Alle pareti, i loro disegni, apparentemente uguali a quelli di tutti gli altri bambini della loro età, ammesso che quelli un’età ce l’avessero. Però, se non si faceva in tempo a distogliere lo sguardo, a scappare, dentro quei disegni c’erano i geroglifici evidentissimi, senza bisogno di alcuna Pietra di Rosetta per decifrarli, di un mondo in cui non esisteva altro che sofferenza, una sofferenza più inutile di qualsiasi altra sofferenza perché avrebbe condotto solo a morte senza un attimo che non fosse volto a quel fine o, forse peggio, avrebbe condotto a sofferenza ancora più cruda, più prolissa della sua stucchevole incomprensibilità.
Non era questo che cozzava di più contro il cervello: era la normalità. Tutto questo per loro, per quegli esseri burocraticamente classificabili come viventi, era normale. Per loro il mondo era quello e basta.
Poi, altri cinque passi e si entrava nel girone appena più profondo, nella tappa ineluttabilmente successiva: quella dei bambini che lo stadio del tappeto e dei disegni l’avevano superata, quello più avanti, quelli che non si potevano più staccare dal letto cui erano incatenati dai tubi da macchinette ronzanti, le mie, che li tenevano beffardamente in vita. Pena: la morte, se mai pena possa essere. Vita: che strana parola sembrava allora e che sembra ora che la scrivo!
Più avanti non si andava: ciò che stava più avanti o, meglio, più in fondo all’imbuto, non era per gli occhi di quel Dante riluttante, in sedicesimo e senza Virgilio che ero io. Più avanti, c’erano i mostri, e solo gli angeli o i diavoli, indistinguibili, li potevano vedere e, chissà, toccare.
Lasciai quell’impegno in quel luogo d’orrore. Lasciai quella plaga che non sapevo accettare, fatta di ronzii meccanici, di occhi rossi troppo stanchi per sfuggire lo sguardo altrui che pure li sfuggiva,di occhi che le orbite erano inadatte a trattenere, di grottesche pentole di metallo che di tanto in tanto portavano di sotto, ormai inutile perché impossibile da tormentare, il simulacro di poca carne di quello che era appena stato una sorta di bambino, per trasferirlo in una bara bianca coperta di fiori dall’odore nauseante. Ero troppo poco attrezzato, o troppo vile senza saperlo essere fino in fondo, o chissà altro.
Solo molti anni dopo seppi che in quella succursale terrena dell’inferno, in quegli stessi momenti, c’era un’amica che allora non conoscevo ancora e che lì, con lo spirito di guerriero che poi ho sperimentato, teneva cocciutamente appeso a una sorta di vita suo figlio. E’ lei che ha voluto questo libro.
Basta così, si casca nella retorica più trita e fastidiosa, ma che cosa questo c’entri con quanto sto accingendomi a scrivere lo devo spiegare. Tutto ciò che vedevo veniva dal fato, dal caso, da Dio…Che ne posso sapere, io, da dove? Da chi? Ma veniva da entità che in qualche modo ci trascendono. Almeno credevo. Non mi ero mai posto il problema, ma quella roba veniva da fuori. Oggi, con quello che il fato, il caso, Dio o fate voi chi o che cosa mi ha fatto cascare in mano senza che io lo cercassi o lo volessi, so con certezza che, almeno in parte, i carnefici di quella macelleria raffinatissima nella sua fantasiosa e minuziosa crudeltà siamo noi, gli uomini, quelli che si autodefiniscono i Principi del Creato. Chi non vuole sapere, chiuda qui il libro.
lunedì 28 settembre 2009
giovedì 17 settembre 2009
Sempre sulla nave dei veleni
Ambiente ed ecomafia
di Angelo Pagliaro
foto internet
17/09/2009
http://www.rivistaonline.com/Rivista/ArticoliPrimoPiano.aspx?id=5947
Dalla collina sulla quale sorge l'ospedale civile di Cetraro (CS) si vede tutto il porto e lo sguardo si perde nell'orizzonte di un mare settembrino che invita ancora ad un bagno rinfrescante e tonificante. Gli abitanti del borgo marinaro vivono di pesca e sanno che il bene primario, il mare, va difeso e tutelato contro ogni "violenza". Da pochi minuti è riaffiorato il robot calato in profondità dai tecnici dell'Arpacal, l'agenzia ambientale della Regione Calabria, chiamati sul posto dall'assessore regionale Silvio Greco su richiesta del procuratore della Repubblica di Paola Bruno Giordano. A 14 miglia dalla costa, ad una profondità di circa 500 metri, c'è il relitto di una nave che non figura su alcuna carta nautica, si tratta (ormai non vi sono più dubbi) della Cunsky una delle 50 (dato fornito dal pentito Fonti) "navi dei veleni" fatta affondare dalla 'ndrangheta nei mari calabresi per smaltire rifiuti tossici e radioattivi. Il procuratore Giordano con questa operazione ha aperto - nell'inchiesta che risale allo spiaggiamento della motonave Rosso di cui il procuratore Franco Greco chiese l'archiviazione lo scorso febbraio - uno squarcio grande quanto quello presente sulla prua del mercantile dal quale sono già visibili alcuni fusti. Di questa "nave dei veleni" ne parlò alcuni anni fa un collaboratore di giustizia, Francesco Fonti, raccontando ai magistrati di avere partecipato, nel 1992, all'affondamento di un mercantile, il Cunsky, in cui erano stivati 120 fusti contenenti scorie radioattive.
Decisivo per la conferma delle ipotesi dell'indagine, che si presenta ancora lunga e complessa, l'utilizzo di speciali sonar e apparecchi fotografici. Il collaboratore di giustizia Fonti aveva parlato, inoltre, di un'esplosione procurata a prua della nave che coincide con lo squarcio notato dalle immagini del relitto. "Finora" - e stato il commento del procuratore Giordano - "si sono solo fatte supposizioni, ipotesi, ma ora abbiamo la conferma della presenza del mercantile. E' un forte aggancio da cui partire". Si parla di aggancio non a caso in quanto, a detta anche degli ambientalisti calabresi, alla vicenda della Cunsky pare siano in qualche modo collegate le inchieste sulla Jolly Rosso, quella sulla morte del capitano di Corvetta Natale De Grazia, morto mentre era attivamente impegnato in decisive indagini tese ad accertare cause e ragioni dello spiaggiamento della motonave Rosso, nonché quella sulla brutale esecuzione avvenuta in Somalia dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Mentre scriviamo, nella piazza principale del paesino medievale di Aiello Calabro, in provincia di Cosenza, si sta per svolgere una iniziativa popolare dal titolo "Valle Oliva, Terre a perdere. Rifiuti, salute e timori". Un incontro finalizzato a fare il punto sulla situazione, dopo le preoccupanti notizie che indicano la Vallata dell'Oliva contaminata da scorie nocive e radioattive derivanti dalla motonave Jolly Rosso. Mentre in riva al Tirreno cosentino si parla di "jollyrossite" iniziano a fioccare le prevedibili interrogazioni parlamentari. Dalla provincia di Cosenza, alla regione, alla ministra Prestigiacomo la gara dell'ovvietà istituzionale risveglia un mondo politico anestetizzato, su questi temi, da oltre un decennio.
Gli interrogativi veri avanzati negli ultimi anni in centinaia di iniziative dagli ambientalisti del WWF, della Legambiente, dell'associazione Rischio Zero rimangono tutti senza risposta. Come mai ora che il Procuratore Bruno Giordano ha deciso, finalmente, di riaprire l'inchiesta sui rifiuti tossici, sui depuratori e sui relitti che popolano il fondo marino calabrese da molte parti si cerca di raccontare, in modo non del tutto corretto, quali furono i motivi per i quali la Procura di Paola per ben tre volte ha archiviato il caso della Jolly Rosso? Come ricorda il giornalista Francesco Cirillo (che ha seguito il caso sin dall'inizio) nel 1990 "la Procura di Paola è nel mirino del governo per una lotta fratricida scoppiata fra i magistrati . Tutti i magistrati secondo un rapporto scritto da Granero sono implicati in varie storie di mafia legate direttamente o indirettamente al clan Muto di Cetraro. Occorre ricordare che non casualmente, il 24 luglio del 1991, l'allora ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, dispose un'inchiesta negli uffici giudiziari di Paola "per accertare eventuali anomalie nella gestione di taluni procedimenti penali", di cui venivano accusati alcuni magistrati. Era dal 1992 che si aspettava che una cinepresa rivelasse cosa contenesse quel relitto. Adesso apriranno quei fusti e sarà tutta la Calabria a sentire l'urlo di dolore dei tanti cittadini inermi che hanno pagato con la vita la sete di denaro e di potere delle mafie e dei loro complici istituzionali e non.
di Angelo Pagliaro
foto internet
17/09/2009
http://www.rivistaonline.com/Rivista/ArticoliPrimoPiano.aspx?id=5947
Dalla collina sulla quale sorge l'ospedale civile di Cetraro (CS) si vede tutto il porto e lo sguardo si perde nell'orizzonte di un mare settembrino che invita ancora ad un bagno rinfrescante e tonificante. Gli abitanti del borgo marinaro vivono di pesca e sanno che il bene primario, il mare, va difeso e tutelato contro ogni "violenza". Da pochi minuti è riaffiorato il robot calato in profondità dai tecnici dell'Arpacal, l'agenzia ambientale della Regione Calabria, chiamati sul posto dall'assessore regionale Silvio Greco su richiesta del procuratore della Repubblica di Paola Bruno Giordano. A 14 miglia dalla costa, ad una profondità di circa 500 metri, c'è il relitto di una nave che non figura su alcuna carta nautica, si tratta (ormai non vi sono più dubbi) della Cunsky una delle 50 (dato fornito dal pentito Fonti) "navi dei veleni" fatta affondare dalla 'ndrangheta nei mari calabresi per smaltire rifiuti tossici e radioattivi. Il procuratore Giordano con questa operazione ha aperto - nell'inchiesta che risale allo spiaggiamento della motonave Rosso di cui il procuratore Franco Greco chiese l'archiviazione lo scorso febbraio - uno squarcio grande quanto quello presente sulla prua del mercantile dal quale sono già visibili alcuni fusti. Di questa "nave dei veleni" ne parlò alcuni anni fa un collaboratore di giustizia, Francesco Fonti, raccontando ai magistrati di avere partecipato, nel 1992, all'affondamento di un mercantile, il Cunsky, in cui erano stivati 120 fusti contenenti scorie radioattive.
Decisivo per la conferma delle ipotesi dell'indagine, che si presenta ancora lunga e complessa, l'utilizzo di speciali sonar e apparecchi fotografici. Il collaboratore di giustizia Fonti aveva parlato, inoltre, di un'esplosione procurata a prua della nave che coincide con lo squarcio notato dalle immagini del relitto. "Finora" - e stato il commento del procuratore Giordano - "si sono solo fatte supposizioni, ipotesi, ma ora abbiamo la conferma della presenza del mercantile. E' un forte aggancio da cui partire". Si parla di aggancio non a caso in quanto, a detta anche degli ambientalisti calabresi, alla vicenda della Cunsky pare siano in qualche modo collegate le inchieste sulla Jolly Rosso, quella sulla morte del capitano di Corvetta Natale De Grazia, morto mentre era attivamente impegnato in decisive indagini tese ad accertare cause e ragioni dello spiaggiamento della motonave Rosso, nonché quella sulla brutale esecuzione avvenuta in Somalia dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Mentre scriviamo, nella piazza principale del paesino medievale di Aiello Calabro, in provincia di Cosenza, si sta per svolgere una iniziativa popolare dal titolo "Valle Oliva, Terre a perdere. Rifiuti, salute e timori". Un incontro finalizzato a fare il punto sulla situazione, dopo le preoccupanti notizie che indicano la Vallata dell'Oliva contaminata da scorie nocive e radioattive derivanti dalla motonave Jolly Rosso. Mentre in riva al Tirreno cosentino si parla di "jollyrossite" iniziano a fioccare le prevedibili interrogazioni parlamentari. Dalla provincia di Cosenza, alla regione, alla ministra Prestigiacomo la gara dell'ovvietà istituzionale risveglia un mondo politico anestetizzato, su questi temi, da oltre un decennio.
Gli interrogativi veri avanzati negli ultimi anni in centinaia di iniziative dagli ambientalisti del WWF, della Legambiente, dell'associazione Rischio Zero rimangono tutti senza risposta. Come mai ora che il Procuratore Bruno Giordano ha deciso, finalmente, di riaprire l'inchiesta sui rifiuti tossici, sui depuratori e sui relitti che popolano il fondo marino calabrese da molte parti si cerca di raccontare, in modo non del tutto corretto, quali furono i motivi per i quali la Procura di Paola per ben tre volte ha archiviato il caso della Jolly Rosso? Come ricorda il giornalista Francesco Cirillo (che ha seguito il caso sin dall'inizio) nel 1990 "la Procura di Paola è nel mirino del governo per una lotta fratricida scoppiata fra i magistrati . Tutti i magistrati secondo un rapporto scritto da Granero sono implicati in varie storie di mafia legate direttamente o indirettamente al clan Muto di Cetraro. Occorre ricordare che non casualmente, il 24 luglio del 1991, l'allora ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, dispose un'inchiesta negli uffici giudiziari di Paola "per accertare eventuali anomalie nella gestione di taluni procedimenti penali", di cui venivano accusati alcuni magistrati. Era dal 1992 che si aspettava che una cinepresa rivelasse cosa contenesse quel relitto. Adesso apriranno quei fusti e sarà tutta la Calabria a sentire l'urlo di dolore dei tanti cittadini inermi che hanno pagato con la vita la sete di denaro e di potere delle mafie e dei loro complici istituzionali e non.
mercoledì 16 settembre 2009
Genova, Spezia, Livorno - Il triangolo dei traffici internazionali
Di seguito alcuni brani degli atti ufficiali della Commissione Bicamerale d'inchiesta sulle Ecomafie. Si parla di traffici internazionali di rifiuti illeciti, di tringolazioni con il traffico illegali di armi, di intrecci fra affari (e a volte politica) e criminalità organizzata.
"La Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituita nella precedente legislatura si era occupata del fenomeno dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi, anche radioattivi. Evidenti segnali di allarme si coglievano in alcune vicende giudiziarie, da cui peraltro era emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico di armi. In particolare, l'inchiesta condotta dalla procura di Lecce aveva individuato il cosiddetto "progetto Urano", finalizzato all'illecito smaltimento in alcune aree del Sahara di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché « di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia ed all'illecita gestione degli aiuti del Fai (oggi direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo). Il progetto (già citato dalla precedente Commissione dinchiesta) prevedeva il lancio dalle navi di penetratori (cilindri metallici a forma di siluro), caricati con scorie radioattive vetrificate o cementate e racchiuse in contenitori di acciaio inossidabile che si depositavano sino a 50-80 metri al di sotto del fondale marino; in alternativa, si
affondava la nave con l'intero carico pericoloso, simulando un affondamento accidentale e lucrando, così, anche il premio assicurativo, il che è stato confermato dalle indagini aventi ad oggetto alcuni naufragi assai sospetti di navi assicurate dalla Lloyds di Londra, verificatisi nel Tirreno e nello Ionio, di cui diremo oltre. Il progetto contemplava anche la vendita di alcuni ordigni bellici (le telemine) ai Paesi del Medio oriente, da nascondere in profondita` marine mediante navi Ro-Ro - le stesse navi utilizzate per affondare le scorie radioattive - e col sistema appena descritto"(Relazione finale XIII legislatura).
Questo tipo di traffici è stato per decenni strettamente connesso all'area ligure, come riportano gli atti di una delle missioni conoscitive della commissione alla fine degli anni '90. Un caso emblematico il caso della discarica di Pitelli a La Spezia. "L'attività illecita consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe a danno di enti pubblici e privati, ai quali venivano fatturati costi di smalti mento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico-nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, cominciate nel 1975 (quando cioè nasce la discarica), erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario. (...) A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi acquisiti dalla Commissione (...) le illegalità commesse dai vari organi amministrativi competenti al controllo (...)".
Ma per la Liguria non si parla solo del caso Pitelli, anzi: "le indagini che coinvolgono la città di La Spezia, in merito ai casi delle cosiddette "navi a perdere" e delle "navi dei veleni", che proprio in quel porto sarebbero state caricate di rifiuti prima di essere le une affondate deliberatamente nel Mediterraneo e le altre inviate nei Paesi in via di sviluppo per smaltimenti illeciti di rifiuti pericolosi. Per quanto riguarda tali gravi fatti, anzi, si deve registrare il nuovo allarme che l'autorità giudiziaria ha ritenuto di esplicitare nel corso del recente convegno sul "Ciclo dei rifiuti in Italia" (...) a proposito della ripresa delle spedizioni di carichi illeciti verso l'Africa e l'America latina. Si tratta di denunce di particolare gravità, sulle quali questa Commissione vigilerà con la massima attenzione". Le segnalazioni di nuove spedizioni illecite di cui parlava la Commissione di Inchiesta, però, non avvenivano più da Spezia ma soprattutto da Genova dopo che un noto armatore aveva trasferito il suo terminal dalla prima alla seconda città, armatore già conosciuto e coinvolto con sue navi direttamente nel caso delle navi dei veleni alla fine degli anni '80.
I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni ’90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del “doppio registro”, in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori in relazione a sicurezza e carico. E allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali, sia per mancanza di personale che per direttive politiche. Ad esempio le Capitanerie di porto sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell’immigrazione clandestina che quello dei traffici illeciti di scorie industriali. Un esempio per tutti, la vicenda del mercantile albanese Korabi a metà degli anni ’90. La nave parte da Spalato con un carico di materiali (rottami) ferrosi. Nello Ionio la Capitaneria di Reggio Calabria effettua un’ispezione. Non si sa per quale ragione gli ispettori utilizzano anche un contatore geiger – probabilmente grazie a qualche “soffiata” – e riscontrano radioattività nel carico. Non succede nulla, perché non si capisce, e la nave viene lasciata proseguire per Palermo dove è diretta. L’unica iniziativa dell’autorità calabrese è quella di informare dell’anomalia la Capitaneria siciliana che, dopo aver effettuato anche lei un’ispezione con tanto di contatore geiger, non autorizza la nave ad entrare in porto. Tre giorni dopo, al largo delle coste calabresi, la nave viene ispezionata dalla Capitaneria di Reggio e, sorpresa, non c’è più traccia di radioattività a bordo. Quindi, o nelle due precedenti ispezioni le autorità italiane si sono sbagliate oppure il carico fra Palermo alla Calabria (e la nave ricordo avrebbe impiegato tre giorni per fare un tragitto di poche ore) è finito tranquillamente in mare.
Quello della Korabi non è un caso isolato. Si ipotizza (sempre la commissione bicamerale) che davanti a Capo Spartivento (la zona presenta una fossa marina fra le più profonde del Mediterraneo) fra gli anni ’80 e ’90 sarebbero state affondate almeno 40 navi cariche di scorie. Più che nave carrette, contenitori di scorie per lo smaltimento illecito. Una di queste, la Rigel, è stata anche individuata grazie a un’indagine promossa dalla stessa Commissione e dalla magistratura competente. La ricerca è stata possibile grazie alle coordinate esatte (riportate accanto alla dicitura “la nave è affondata”) ritrovate in un’agenda del capitano di un’altra nave naufragata e arenata sempre coste calabre: la Rosso, già Jolly Rosso appartenente all’armatore Fratelli Messina è molto conosciuta negli anni ’80 come una delle “navi dei veleni” insieme alla Zanoobia e alla Karin-B implicate in un traffico internazionali di rifiuti fra Africa, Libano e Genova.
Si è parlato per almeno due decenni del triangolo Genova, La Spezia e Livorno per il traffico illecito di scorie e armi. Con infiltrazioni della mafia – ricordo che secondo la stessa magistratura uno dei settori di maggior guadagno del latitante Provenzano fossero i rifiuti e il loro smaltimento illecito -, implicazioni a tutti i livelli di istituzioni e imprese. Ricordo ad esempio che a Spezia si è arrivati al coinvolgimento addirittura di alti ufficiali della Marina Militare (un ammiraglio) che a quanto pare avrebbe dato in uso come area di stoccaggio provvisorio dei rifiuti in transito strutture dell’Arsenale spezzino.
Da questo quadro non stupisce la definizione fatta alla fine degli anni '90 dai comitati locali e dalle associazioni ambientaliste (Wwf e Legambiente in prima fila) della Liguria come piattaforma di interscambio per i traffici illeciti internazionali.
E oggi? La situazione, anche se sempre meno adeguatamente monitorata, prosegue a destare preoccupazione. Come preoccupa l'opposizione inusuale da parte di alcuni settori militari al dragaggio del canale d'ingresso al porto di La Spezia, dragaggio che, sia per le attività commerciale che quelle militari nell'area dell'arsenale viene definito come indispensabile.
Pietro Orsatti
"La Commissione monocamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti istituita nella precedente legislatura si era occupata del fenomeno dei traffici internazionali di rifiuti pericolosi, anche radioattivi. Evidenti segnali di allarme si coglievano in alcune vicende giudiziarie, da cui peraltro era emersa una chiara sovrapposizione tra queste attività illegali ed il traffico di armi. In particolare, l'inchiesta condotta dalla procura di Lecce aveva individuato il cosiddetto "progetto Urano", finalizzato all'illecito smaltimento in alcune aree del Sahara di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti da Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché « di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia ed all'illecita gestione degli aiuti del Fai (oggi direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo). Il progetto (già citato dalla precedente Commissione dinchiesta) prevedeva il lancio dalle navi di penetratori (cilindri metallici a forma di siluro), caricati con scorie radioattive vetrificate o cementate e racchiuse in contenitori di acciaio inossidabile che si depositavano sino a 50-80 metri al di sotto del fondale marino; in alternativa, si
affondava la nave con l'intero carico pericoloso, simulando un affondamento accidentale e lucrando, così, anche il premio assicurativo, il che è stato confermato dalle indagini aventi ad oggetto alcuni naufragi assai sospetti di navi assicurate dalla Lloyds di Londra, verificatisi nel Tirreno e nello Ionio, di cui diremo oltre. Il progetto contemplava anche la vendita di alcuni ordigni bellici (le telemine) ai Paesi del Medio oriente, da nascondere in profondita` marine mediante navi Ro-Ro - le stesse navi utilizzate per affondare le scorie radioattive - e col sistema appena descritto"(Relazione finale XIII legislatura).
Questo tipo di traffici è stato per decenni strettamente connesso all'area ligure, come riportano gli atti di una delle missioni conoscitive della commissione alla fine degli anni '90. Un caso emblematico il caso della discarica di Pitelli a La Spezia. "L'attività illecita consisteva nella sistematica falsificazione di documenti di accompagnamento (tesi a consentire l'ingresso in discarica di materiali non autorizzati) e nella falsificazione di dichiarazioni di avvenuto smaltimento di rifiuti; nella commissione di truffe a danno di enti pubblici e privati, ai quali venivano fatturati costi di smalti mento non affrontati; infine, nel sistematico illecito smaltimento di rifiuti tossico-nocivi provenienti dal territorio nazionale e dall'estero. Tali condotte illecite, cominciate nel 1975 (quando cioè nasce la discarica), erano agevolate dalla notevole capacità penetrativa dei soggetti coinvolti, tra cui il Duvia, negli enti pubblici di varia natura preposti al controllo e proseguivano anche durante il periodo in cui la discarica di Pitelli era sottoposta a sequestro giudiziario. (...) A prescindere da ogni valutazione sui profili squisitamente penali, sono innegabili alla luce dei numerosi elementi acquisiti dalla Commissione (...) le illegalità commesse dai vari organi amministrativi competenti al controllo (...)".
Ma per la Liguria non si parla solo del caso Pitelli, anzi: "le indagini che coinvolgono la città di La Spezia, in merito ai casi delle cosiddette "navi a perdere" e delle "navi dei veleni", che proprio in quel porto sarebbero state caricate di rifiuti prima di essere le une affondate deliberatamente nel Mediterraneo e le altre inviate nei Paesi in via di sviluppo per smaltimenti illeciti di rifiuti pericolosi. Per quanto riguarda tali gravi fatti, anzi, si deve registrare il nuovo allarme che l'autorità giudiziaria ha ritenuto di esplicitare nel corso del recente convegno sul "Ciclo dei rifiuti in Italia" (...) a proposito della ripresa delle spedizioni di carichi illeciti verso l'Africa e l'America latina. Si tratta di denunce di particolare gravità, sulle quali questa Commissione vigilerà con la massima attenzione". Le segnalazioni di nuove spedizioni illecite di cui parlava la Commissione di Inchiesta, però, non avvenivano più da Spezia ma soprattutto da Genova dopo che un noto armatore aveva trasferito il suo terminal dalla prima alla seconda città, armatore già conosciuto e coinvolto con sue navi direttamente nel caso delle navi dei veleni alla fine degli anni '80.
I traffici internazionali, sia di rifiuti che di armi o di triangolazioni fra scorie e forniture militari come ormai è dimostrato sia avvenuto a metà degli anni ’90 in particolare in Somalia, sono proseguiti e proseguono tuttora, garantiti anche da norme internazionali assolutamente incredibili come ad esempio quelle del “doppio registro”, in cui scafo e contenuto possono battere due bandiere diverse a seconda delle convenienze degli armatori in relazione a sicurezza e carico. E allo stesso tempo le autorità marittime di controllo hanno sempre meno possibilità di incidere realmente nel fermare i traffici illegali, sia per mancanza di personale che per direttive politiche. Ad esempio le Capitanerie di porto sono molto più impegnate a reprimere il fenomeno dell’immigrazione clandestina che quello dei traffici illeciti di scorie industriali. Un esempio per tutti, la vicenda del mercantile albanese Korabi a metà degli anni ’90. La nave parte da Spalato con un carico di materiali (rottami) ferrosi. Nello Ionio la Capitaneria di Reggio Calabria effettua un’ispezione. Non si sa per quale ragione gli ispettori utilizzano anche un contatore geiger – probabilmente grazie a qualche “soffiata” – e riscontrano radioattività nel carico. Non succede nulla, perché non si capisce, e la nave viene lasciata proseguire per Palermo dove è diretta. L’unica iniziativa dell’autorità calabrese è quella di informare dell’anomalia la Capitaneria siciliana che, dopo aver effettuato anche lei un’ispezione con tanto di contatore geiger, non autorizza la nave ad entrare in porto. Tre giorni dopo, al largo delle coste calabresi, la nave viene ispezionata dalla Capitaneria di Reggio e, sorpresa, non c’è più traccia di radioattività a bordo. Quindi, o nelle due precedenti ispezioni le autorità italiane si sono sbagliate oppure il carico fra Palermo alla Calabria (e la nave ricordo avrebbe impiegato tre giorni per fare un tragitto di poche ore) è finito tranquillamente in mare.
Quello della Korabi non è un caso isolato. Si ipotizza (sempre la commissione bicamerale) che davanti a Capo Spartivento (la zona presenta una fossa marina fra le più profonde del Mediterraneo) fra gli anni ’80 e ’90 sarebbero state affondate almeno 40 navi cariche di scorie. Più che nave carrette, contenitori di scorie per lo smaltimento illecito. Una di queste, la Rigel, è stata anche individuata grazie a un’indagine promossa dalla stessa Commissione e dalla magistratura competente. La ricerca è stata possibile grazie alle coordinate esatte (riportate accanto alla dicitura “la nave è affondata”) ritrovate in un’agenda del capitano di un’altra nave naufragata e arenata sempre coste calabre: la Rosso, già Jolly Rosso appartenente all’armatore Fratelli Messina è molto conosciuta negli anni ’80 come una delle “navi dei veleni” insieme alla Zanoobia e alla Karin-B implicate in un traffico internazionali di rifiuti fra Africa, Libano e Genova.
Si è parlato per almeno due decenni del triangolo Genova, La Spezia e Livorno per il traffico illecito di scorie e armi. Con infiltrazioni della mafia – ricordo che secondo la stessa magistratura uno dei settori di maggior guadagno del latitante Provenzano fossero i rifiuti e il loro smaltimento illecito -, implicazioni a tutti i livelli di istituzioni e imprese. Ricordo ad esempio che a Spezia si è arrivati al coinvolgimento addirittura di alti ufficiali della Marina Militare (un ammiraglio) che a quanto pare avrebbe dato in uso come area di stoccaggio provvisorio dei rifiuti in transito strutture dell’Arsenale spezzino.
Da questo quadro non stupisce la definizione fatta alla fine degli anni '90 dai comitati locali e dalle associazioni ambientaliste (Wwf e Legambiente in prima fila) della Liguria come piattaforma di interscambio per i traffici illeciti internazionali.
E oggi? La situazione, anche se sempre meno adeguatamente monitorata, prosegue a destare preoccupazione. Come preoccupa l'opposizione inusuale da parte di alcuni settori militari al dragaggio del canale d'ingresso al porto di La Spezia, dragaggio che, sia per le attività commerciale che quelle militari nell'area dell'arsenale viene definito come indispensabile.
Pietro Orsatti
Così ho affondato dieci navi di veleni
Da "Il Corriere della Sera" di martedì 15 settembre 2009
Calabria «Gli altri scafi a Metaponto e Maratea». Il perito: nella zona sono aumentati i tumori «Dieci casse di esplosivo militare Così ho affondato 3 navi di veleni» Il pentito: fusti radioattivi dalla Norvegia. L`ordinedei clan REGGIO CALABRIA - «Avevamo bisogno di affondare delle navi che ci erano state commissionate ed erano al largo di Cetraro. Ci serviva un motoscafo per portare l`esplosivo da riva fino al largo». E il 21 aprile 2006 e a Milano un magistrato antimafia raccoglie la testimonianza del pentito Francesco Fonti, che dal 1966 fino al gennaio del `94, quando è iniziata la sua collaborazione con la giustizia, ha fatto parte della `ndrangheta: entrato da picciotto e uscito con la «dote» di vangelo dalla famiglia Romeo, potentissimi padroni di San Luca. Fonti parla di un episodio che fa risalire al 1993: l`affondamento di una nave carica di rifiuti radioattivi, nel Tirreno, al quale dice di aver preso parte in prima persona.
«Nelle navi - racconta il pentito - in quel momento c`era una certa quantità di fusti che non erano stati smaltiti all`estero...».
I motoscafi li procurò Franco Muto, boss di Cetraro, al quale andarono 200 milioni di lire per il disturbo;
dall`Olanda arrivarono una decina di casse di esplosivo militare, portate in auto fino alle spiagge del Tirreno da due ragazzi di San Luca; il carico finito in fondo al mare, invece, secondo il pentito era di origine norvegese. «Affondare lì tutte e tre le navi assieme abbiamo pensato che non era intelligente - ricorda Fonti -. Abbiamo deciso di farne affondare una lì e le altre mandarle verso Maratea e Metaponto».
Qualcuno sostiene che nel Mediterraneo la criminalità organizzata a partire dagli anni `8o potrebbe aver affondato decine di navi cariche di veleni.
Sono state disegnate trame complicatissime, che coinvolgerebbero uomini dei servizi, politici, faccendieri di tutto il mondo, fra l`Olanda e la Somalia, la Calabria e l`ex Jugoslavia.
Molte cose restano da verificare, ed è difficile.
«Però il velo è squarciato. Nessuno può più sostenere che le navi non ci sono», dice Bruno Giordano, capo della Procura di Paola dal luglio 2008. E` il magistrato che ha riannodato le fila di un`inchiesta che si trascinava da tempo, e ha scoperto lungo il greto del torrente Oliva, tra Aiello Calabro e Serra d`Aiello, la presenza di metalli pesanti, radioattività di origine artificiale, «quantità rilevantissime di mercurio».
Mesi fa, sul suo tavolo è arrivato un documento dell`Arpacal, gli esiti di una rilevazione condotta nel Tirreno: fuori da Cetraro sottacqua c`era qualcosa di forma ellittica, un oggetto lungo almeno 8o metri. La Marina non aveva mezzi a disposizione, allora Giordano si è rivolto a Silvio Greco, assessore all`Ambiente della Regione Calabria e un biologo marino che trova un robot in grado di ispezionare i fon-.
dali. Sabato scorso, quando a 50o metri di profondità, al largo di Cetraro, proprio nel tratto di mare indicato da Fonti, il robot filma un grosso relitto.
«Lì sotto c`è una pressione di 5o atmosfere - dice Greco -: la telecamera ha inquadrato almeno un fusto quasi completamente schiacciato. Gli altri dovrebbero essere ancora nella stiva: ora bisogna capire che cosa contengono e come trattarli. Poi bisogna cercare le altre due navi delle quali parla il pentito». Francesco Fonti non fa più parte dei programmi di protezione riservati ai collaboratori di giustizia, si nasconde da qualche parte in centro Italia. Ma se il suo racconto è attendibile, e ora smentirlo è diventato più difficile, le altre due navi potrebbero trovarsi fra i 3 e i 5 mila metri di profondità. «Adesso - dice Greco - tocca al governo».
Oggi sarà a Roma, per discutere con i tecnici del ministero dell`Ambiente. Poi toccherà a Giordano, convocato dalla commissione che si occupa di rifiuti. E chissà, forse un giorno verrà ascoltato anche il dottor Giacomino Brancati, dirigente del settore prevenzio- ne nel Dipartimento calabrese per la tutela della salute e consulente della Procura.
La sua relazione fa paura. «Si può senz`altro confermare l`esistenza di un eccesso statisticamente significativo di mortalità nell`area nel distretto sanitario di Amantea rispetto al restante territorio regionale, dal 1992 al 2001, in particolare nei comuni di Serra d`Aiello, Amantea, Cleto e Malito».
Parla di tumori maligni, in particolare del colon, dei retto, del fegato, degli organi genito-urinari e della mammella.
Cita, fra le altre sostanze inquinanti, «radionuclidi artificiali e in particolare l`isotopo del cesio 137 (137Cs)». E sollecita indagini nel bacino fluviale del fiume Oliva. Chi ha comprato i servizi della `ndrangheta per liberarsi di rifiuti tossici? Le scorie radioattive, dice un dossier di Legambiente, partivano in massima parte dalle centrali francesi e tedesche, per poi inabissarsi nel Mediterraneo o al largo delle coste calabresi. Quante sono le navi affondate nel Mediterraneo? E dove sono? Carlo Macrì Mario Porqueddu (,I RIPRODUZIONE RISERVATA f fusti La nave affondata trasportava dei fusti, come si evince da questa immagine.
Se i sospetti saranno confermati, si tratta di fusti contenenti rifiuti tossici e scorie radioattive In mare La sagoma e un oblò della nave, presumibilmente la «Kunsky», affondata al largo di Cetraro. Le immagini sono state scattate da un robot subacqueo
Calabria «Gli altri scafi a Metaponto e Maratea». Il perito: nella zona sono aumentati i tumori «Dieci casse di esplosivo militare Così ho affondato 3 navi di veleni» Il pentito: fusti radioattivi dalla Norvegia. L`ordinedei clan REGGIO CALABRIA - «Avevamo bisogno di affondare delle navi che ci erano state commissionate ed erano al largo di Cetraro. Ci serviva un motoscafo per portare l`esplosivo da riva fino al largo». E il 21 aprile 2006 e a Milano un magistrato antimafia raccoglie la testimonianza del pentito Francesco Fonti, che dal 1966 fino al gennaio del `94, quando è iniziata la sua collaborazione con la giustizia, ha fatto parte della `ndrangheta: entrato da picciotto e uscito con la «dote» di vangelo dalla famiglia Romeo, potentissimi padroni di San Luca. Fonti parla di un episodio che fa risalire al 1993: l`affondamento di una nave carica di rifiuti radioattivi, nel Tirreno, al quale dice di aver preso parte in prima persona.
«Nelle navi - racconta il pentito - in quel momento c`era una certa quantità di fusti che non erano stati smaltiti all`estero...».
I motoscafi li procurò Franco Muto, boss di Cetraro, al quale andarono 200 milioni di lire per il disturbo;
dall`Olanda arrivarono una decina di casse di esplosivo militare, portate in auto fino alle spiagge del Tirreno da due ragazzi di San Luca; il carico finito in fondo al mare, invece, secondo il pentito era di origine norvegese. «Affondare lì tutte e tre le navi assieme abbiamo pensato che non era intelligente - ricorda Fonti -. Abbiamo deciso di farne affondare una lì e le altre mandarle verso Maratea e Metaponto».
Qualcuno sostiene che nel Mediterraneo la criminalità organizzata a partire dagli anni `8o potrebbe aver affondato decine di navi cariche di veleni.
Sono state disegnate trame complicatissime, che coinvolgerebbero uomini dei servizi, politici, faccendieri di tutto il mondo, fra l`Olanda e la Somalia, la Calabria e l`ex Jugoslavia.
Molte cose restano da verificare, ed è difficile.
«Però il velo è squarciato. Nessuno può più sostenere che le navi non ci sono», dice Bruno Giordano, capo della Procura di Paola dal luglio 2008. E` il magistrato che ha riannodato le fila di un`inchiesta che si trascinava da tempo, e ha scoperto lungo il greto del torrente Oliva, tra Aiello Calabro e Serra d`Aiello, la presenza di metalli pesanti, radioattività di origine artificiale, «quantità rilevantissime di mercurio».
Mesi fa, sul suo tavolo è arrivato un documento dell`Arpacal, gli esiti di una rilevazione condotta nel Tirreno: fuori da Cetraro sottacqua c`era qualcosa di forma ellittica, un oggetto lungo almeno 8o metri. La Marina non aveva mezzi a disposizione, allora Giordano si è rivolto a Silvio Greco, assessore all`Ambiente della Regione Calabria e un biologo marino che trova un robot in grado di ispezionare i fon-.
dali. Sabato scorso, quando a 50o metri di profondità, al largo di Cetraro, proprio nel tratto di mare indicato da Fonti, il robot filma un grosso relitto.
«Lì sotto c`è una pressione di 5o atmosfere - dice Greco -: la telecamera ha inquadrato almeno un fusto quasi completamente schiacciato. Gli altri dovrebbero essere ancora nella stiva: ora bisogna capire che cosa contengono e come trattarli. Poi bisogna cercare le altre due navi delle quali parla il pentito». Francesco Fonti non fa più parte dei programmi di protezione riservati ai collaboratori di giustizia, si nasconde da qualche parte in centro Italia. Ma se il suo racconto è attendibile, e ora smentirlo è diventato più difficile, le altre due navi potrebbero trovarsi fra i 3 e i 5 mila metri di profondità. «Adesso - dice Greco - tocca al governo».
Oggi sarà a Roma, per discutere con i tecnici del ministero dell`Ambiente. Poi toccherà a Giordano, convocato dalla commissione che si occupa di rifiuti. E chissà, forse un giorno verrà ascoltato anche il dottor Giacomino Brancati, dirigente del settore prevenzio- ne nel Dipartimento calabrese per la tutela della salute e consulente della Procura.
La sua relazione fa paura. «Si può senz`altro confermare l`esistenza di un eccesso statisticamente significativo di mortalità nell`area nel distretto sanitario di Amantea rispetto al restante territorio regionale, dal 1992 al 2001, in particolare nei comuni di Serra d`Aiello, Amantea, Cleto e Malito».
Parla di tumori maligni, in particolare del colon, dei retto, del fegato, degli organi genito-urinari e della mammella.
Cita, fra le altre sostanze inquinanti, «radionuclidi artificiali e in particolare l`isotopo del cesio 137 (137Cs)». E sollecita indagini nel bacino fluviale del fiume Oliva. Chi ha comprato i servizi della `ndrangheta per liberarsi di rifiuti tossici? Le scorie radioattive, dice un dossier di Legambiente, partivano in massima parte dalle centrali francesi e tedesche, per poi inabissarsi nel Mediterraneo o al largo delle coste calabresi. Quante sono le navi affondate nel Mediterraneo? E dove sono? Carlo Macrì Mario Porqueddu (,I RIPRODUZIONE RISERVATA f fusti La nave affondata trasportava dei fusti, come si evince da questa immagine.
Se i sospetti saranno confermati, si tratta di fusti contenenti rifiuti tossici e scorie radioattive In mare La sagoma e un oblò della nave, presumibilmente la «Kunsky», affondata al largo di Cetraro. Le immagini sono state scattate da un robot subacqueo
sabato 12 settembre 2009
Lettera ai genitori sulla nuova influenza. Dott. Eugenio Serravalle Specialista in Pediatria Preventiva
Il Dott. Eugenio Serravalle, Specialista in Pediatria Preventiva, scrive una lettera informativa ai genitori sull'influenza A/H1N1, valutando l'utilità o meno di sottoporre i propri figli alla vaccinazione.
È importante essere a conoscenza dei dati oggettivi sulla diffusione e presunta gravità e atipicità dell'influenza per poter scegliere in maniera consapevole e responsabile in un contesto - come quello attuale - fortemente condizionato dai mezzi mediatici.
Vi preghiamo pertanto di diffondere questa lettera il più possibile:
*LETTERA AI GENITORI SULLA "NUOVA INFLUENZA"*
Cari genitori,
ogni giorno parliamo della nuova influenza, e mi chiedete se sia utile e sicuro vaccinare i bambini.
La mia risposta è NO! Un 'no' motivato e ponderato, frutto delle analisi delle conoscenze fornite dalla letteratura medica internazionale. Un 'no' controcorrente perché molti organismi pubblici, alcune società scientifiche e i mezzi di comunicazione trasmettono messaggi differenti:
avranno le loro ragioni.
Influenza stagionale e influenza A/H1N1: alcuni dati a confronto
L'epidemia, iniziata in Messico nel 2009, è di modesta gravità: il virus A/H1N1 si è dimostrato meno aggressivo della comune influenza stagionale. Si manifesta come qualsiasi forma influenzale: febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, diarrea tosse. Non sarà l'unica patologia che colpirà i bambini in questo inverno, e non sarà facile distinguerla dai circa 500 (tra tipi e sottotipi) virus capaci di infettare i bambini. I test rapidi per identificare il virus dell'influenza A hanno poca sensibilità (dal 10 al 60%). Il test quindi non garantisce con certezza se si tratti di influenza A/H1N1.
Sembra però essere un virus molto contagioso, ed è stato dichiarato lo stato di pandemia. La sola parola-pandemia-fa paura. Ma questa definizione è stata appositamente modificata, facendo scomparire il criterio della gravità, cioè della mortalità che la malattia può provocare. La nuova influenza può colpire più persone, pare, ma provoca meno morti di qualunque altra influenza trascorsa. La mortalità, ossia il numero di persone morte rispetto ai casi segnalati, registrata finora nei paesi dove l'A/H1N1 è circolato ampiamente è dello 0,3% in Europa e dello 0,4% negli USA. In realtà potrebbe essere ancora inferiore. Perché generalmente i casi con sintomi lievi sfuggono alla sorveglianza (e quindi i contagiati possono essere molti di più), ed alcuni decessi possono essere dovuti ad altre cause e non al virus (anche se ad esso viene data la responsabilità).
Non deve meravigliare: purtroppo si può, e si muore, di influenza, se si soffre di una patologia cronica, di una malformazione organica, di una malattia immunitaria, o se si è anziani.
Le cifre variano in base alla fonte dei dati. Per esempio in Gran Bretagna sono stati registrati 30 morti su centomila casi e negli USA solo 302 su un milione di casi. Nell'inverno australe (che coincide con l'estate in Italia) in Argentina sono morte circa 350 persone, in Cile 128 ed in Nuova Zelanda 16. Quasi alla fine dell'inverno australe, sinora nel mondo intero si sono avuti 2501 decessi. Per fare un paragone, si calcola che in Spagna, durante un inverno "normale" i decessi per influenza stagionale sono circa 1500-3000.
La mortalità per influenza A riguarda prevalentemente persone di età minore di 65 anni, in quanto i soggetti di età superiore sembrano avere un certo grado di protezione, a seguito di epidemie passate dovute a virus simili.
Il 90% dei decessi per influenza stagionale riguarda persone sopra i 65 anni di età, l'influenza A colpisce invece prevalentemente persone di età inferiore (solo il 10% dei casi mortali si colloca nella fascia di età sopra i 65 anni). Ma, in numero assoluto, l'influenza A provoca pochi decessi tra i giovani; negli USA ogni anno muoiono per influenza stagionale circa 3600 persone sotto i 65 anni, mentre finora ne sono morte 324 nella stessa fascia di età per influenza A. In Australia ogni anno per l'influenza stagionale muoiono circa 310 persone sotto i di 65 anni. A inverno ormai terminato, ne sono morte 132 per influenza A, di cui circa 119 sotto i 65 anni.
Perchè allora il panico?
Quanto successo nei Paesi dell'Emisfero australe ci rassicura: l'influenza A semplicemente arriva a colpire (leggermente) molte persone. Eppure i mezzi di informazione hanno creato il panico. E' un tipico esempio di "invenzione delle malattie" (disease mongering). Non si tratta della prima volta. Nel 2005 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva previsto fino a sette milioni di morti per l'influenza aviaria. Alla fine i morti furono 262. Si tratto' di un gravissimo errore prognostico?
Secondo una delle maggiori banche di affari del mondo (JP Morgan) l'attuale vendita di farmaci anti-influenzali e di vaccini muoverebbe un giro di oltre 10 miliardi di dollari.
I medicinali funzionano?
Non esiste alcun trattamento preventivo: i farmaci antivirali, Oseltamivir (Tamiflu) e Zanamivir (Relenza), non prevengono la malattia e su individui già ammalati l'azione dimostrata di questi farmaci è di poter accorciare di mezza giornata la durata dei sintomi dell'influenza. Né va dimenticato che gli antivirali possono causare effetti collaterali importanti. Il 18% dei bambini in età scolare del Regno Unito, a cui è stato somministrato l'Oseltamivir contro l'A/H1N1, ha presentato sintomi neuropsichiatrici e il 40% sintomi gastroenterici.
...E i vaccini?
I vaccini contro il nuovo virus A/H1N1 sono ancora in fase di sperimentazione. Nessuno è in grado di sapere se e quanto saranno efficaci e sicuri, ma vengono pubblicizzati, con gran clamore. Basta che il virus cambi (per mutazione, o per riassortimento con altri virus) per rendere inefficace il vaccino già messo a punto. Sulla sicurezza sia l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che l'Agenzia del farmaco europea (EMEA) dichiarano necessaria un'attenta sorveglianza. Alcuni vaccini sono allestiti con tecnologie nuove e saranno testati su poche centinaia di bambini e adulti volontari, e soltanto per pochi giorni.
Il vaccino che meglio conosciamo, quello contro l'influenza stagionale, sappiamo che ha un'efficacia del 33% tra bambini e adolescenti e che è assolutamente inutile nei minori di due anni. Esistono anche dubbi circa la sua efficacia negli adulti e negli anziani.
Non conosciamo la sicurezza del vaccino per l'influenza A, ma ricordiamo che nel 1976 negli USA fu prodotto un vaccino simile, anche allora con una gran fretta per un pericolo di pandemia, ed il risultato fu un'epidemia di reazioni avverse gravi (sindrome di Guillan-Barrè, una malattia neurologica), per cui la campagna di vaccinazione fu subito sospesa. La fretta non è mai utile, tanto più per fermare un'influenza come quella A, la cui mortalità è così bassa. Conviene non ripetere l'errore del 1976.
Un'altra motivazione a favore della vaccinazione è il cercare di ridurre la circolazione del virus A/H1N1 per diminuire le opportunità di ricombinazione con altri sottotipi. Ma attualmente non esistono strumenti o modelli teorici per prevedere una eventuale evoluzione pericolosa del virus. Sul piano teorico, proprio la vaccinazione di massa potrebbe indurre il virus a mutare in una forma più aggressiva.
Come curarsi?
Per curare l'influenza A occorrono: riposo, una buona idratazione, una alimentazione adeguata, una igiene corretta. Non si deve tossire davanti agli altri senza riparare naso e bocca, bisogna evitare di toccarsi il naso, la bocca, gli occhi, facili vie di accesso dei virus, occorre lavarsi le mani spesso ed accuratamente con acqua e sapone. Non è dimostrato che l'uso di mascherine serva a limitare la propagazione dell'epidemia.
Se decidete comunque per la vaccinazione, vi verrà richiesto di firmare il "consenso informato", una informativa sui rischi. Leggetelo bene, prima di decidere, chiedete informazioni scritte sui benefici e i rischi. Chiedete e chiediamo insieme, per tutti i vaccinati, che sia attivato un programma di sorveglianza attivo, capace davvero di registrare e trattare i gravi problemi di salute che possono presentarsi dopo la vaccinazione. Chiedete e chiediamo che si prevedano risorse economiche per l'indennizzo ai danneggiati.
Chiediamo di non speculare sulla salute e sulla paura.
Dott. Eugenio Serravalle,
Specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura-Patologia Neonatale
Pisa 6 settembre 2009
Eugenio Serravalle
autore di Bambini super-vaccinati
È importante essere a conoscenza dei dati oggettivi sulla diffusione e presunta gravità e atipicità dell'influenza per poter scegliere in maniera consapevole e responsabile in un contesto - come quello attuale - fortemente condizionato dai mezzi mediatici.
Vi preghiamo pertanto di diffondere questa lettera il più possibile:
*LETTERA AI GENITORI SULLA "NUOVA INFLUENZA"*
Cari genitori,
ogni giorno parliamo della nuova influenza, e mi chiedete se sia utile e sicuro vaccinare i bambini.
La mia risposta è NO! Un 'no' motivato e ponderato, frutto delle analisi delle conoscenze fornite dalla letteratura medica internazionale. Un 'no' controcorrente perché molti organismi pubblici, alcune società scientifiche e i mezzi di comunicazione trasmettono messaggi differenti:
avranno le loro ragioni.
Influenza stagionale e influenza A/H1N1: alcuni dati a confronto
L'epidemia, iniziata in Messico nel 2009, è di modesta gravità: il virus A/H1N1 si è dimostrato meno aggressivo della comune influenza stagionale. Si manifesta come qualsiasi forma influenzale: febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, diarrea tosse. Non sarà l'unica patologia che colpirà i bambini in questo inverno, e non sarà facile distinguerla dai circa 500 (tra tipi e sottotipi) virus capaci di infettare i bambini. I test rapidi per identificare il virus dell'influenza A hanno poca sensibilità (dal 10 al 60%). Il test quindi non garantisce con certezza se si tratti di influenza A/H1N1.
Sembra però essere un virus molto contagioso, ed è stato dichiarato lo stato di pandemia. La sola parola-pandemia-fa paura. Ma questa definizione è stata appositamente modificata, facendo scomparire il criterio della gravità, cioè della mortalità che la malattia può provocare. La nuova influenza può colpire più persone, pare, ma provoca meno morti di qualunque altra influenza trascorsa. La mortalità, ossia il numero di persone morte rispetto ai casi segnalati, registrata finora nei paesi dove l'A/H1N1 è circolato ampiamente è dello 0,3% in Europa e dello 0,4% negli USA. In realtà potrebbe essere ancora inferiore. Perché generalmente i casi con sintomi lievi sfuggono alla sorveglianza (e quindi i contagiati possono essere molti di più), ed alcuni decessi possono essere dovuti ad altre cause e non al virus (anche se ad esso viene data la responsabilità).
Non deve meravigliare: purtroppo si può, e si muore, di influenza, se si soffre di una patologia cronica, di una malformazione organica, di una malattia immunitaria, o se si è anziani.
Le cifre variano in base alla fonte dei dati. Per esempio in Gran Bretagna sono stati registrati 30 morti su centomila casi e negli USA solo 302 su un milione di casi. Nell'inverno australe (che coincide con l'estate in Italia) in Argentina sono morte circa 350 persone, in Cile 128 ed in Nuova Zelanda 16. Quasi alla fine dell'inverno australe, sinora nel mondo intero si sono avuti 2501 decessi. Per fare un paragone, si calcola che in Spagna, durante un inverno "normale" i decessi per influenza stagionale sono circa 1500-3000.
La mortalità per influenza A riguarda prevalentemente persone di età minore di 65 anni, in quanto i soggetti di età superiore sembrano avere un certo grado di protezione, a seguito di epidemie passate dovute a virus simili.
Il 90% dei decessi per influenza stagionale riguarda persone sopra i 65 anni di età, l'influenza A colpisce invece prevalentemente persone di età inferiore (solo il 10% dei casi mortali si colloca nella fascia di età sopra i 65 anni). Ma, in numero assoluto, l'influenza A provoca pochi decessi tra i giovani; negli USA ogni anno muoiono per influenza stagionale circa 3600 persone sotto i 65 anni, mentre finora ne sono morte 324 nella stessa fascia di età per influenza A. In Australia ogni anno per l'influenza stagionale muoiono circa 310 persone sotto i di 65 anni. A inverno ormai terminato, ne sono morte 132 per influenza A, di cui circa 119 sotto i 65 anni.
Perchè allora il panico?
Quanto successo nei Paesi dell'Emisfero australe ci rassicura: l'influenza A semplicemente arriva a colpire (leggermente) molte persone. Eppure i mezzi di informazione hanno creato il panico. E' un tipico esempio di "invenzione delle malattie" (disease mongering). Non si tratta della prima volta. Nel 2005 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva previsto fino a sette milioni di morti per l'influenza aviaria. Alla fine i morti furono 262. Si tratto' di un gravissimo errore prognostico?
Secondo una delle maggiori banche di affari del mondo (JP Morgan) l'attuale vendita di farmaci anti-influenzali e di vaccini muoverebbe un giro di oltre 10 miliardi di dollari.
I medicinali funzionano?
Non esiste alcun trattamento preventivo: i farmaci antivirali, Oseltamivir (Tamiflu) e Zanamivir (Relenza), non prevengono la malattia e su individui già ammalati l'azione dimostrata di questi farmaci è di poter accorciare di mezza giornata la durata dei sintomi dell'influenza. Né va dimenticato che gli antivirali possono causare effetti collaterali importanti. Il 18% dei bambini in età scolare del Regno Unito, a cui è stato somministrato l'Oseltamivir contro l'A/H1N1, ha presentato sintomi neuropsichiatrici e il 40% sintomi gastroenterici.
...E i vaccini?
I vaccini contro il nuovo virus A/H1N1 sono ancora in fase di sperimentazione. Nessuno è in grado di sapere se e quanto saranno efficaci e sicuri, ma vengono pubblicizzati, con gran clamore. Basta che il virus cambi (per mutazione, o per riassortimento con altri virus) per rendere inefficace il vaccino già messo a punto. Sulla sicurezza sia l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che l'Agenzia del farmaco europea (EMEA) dichiarano necessaria un'attenta sorveglianza. Alcuni vaccini sono allestiti con tecnologie nuove e saranno testati su poche centinaia di bambini e adulti volontari, e soltanto per pochi giorni.
Il vaccino che meglio conosciamo, quello contro l'influenza stagionale, sappiamo che ha un'efficacia del 33% tra bambini e adolescenti e che è assolutamente inutile nei minori di due anni. Esistono anche dubbi circa la sua efficacia negli adulti e negli anziani.
Non conosciamo la sicurezza del vaccino per l'influenza A, ma ricordiamo che nel 1976 negli USA fu prodotto un vaccino simile, anche allora con una gran fretta per un pericolo di pandemia, ed il risultato fu un'epidemia di reazioni avverse gravi (sindrome di Guillan-Barrè, una malattia neurologica), per cui la campagna di vaccinazione fu subito sospesa. La fretta non è mai utile, tanto più per fermare un'influenza come quella A, la cui mortalità è così bassa. Conviene non ripetere l'errore del 1976.
Un'altra motivazione a favore della vaccinazione è il cercare di ridurre la circolazione del virus A/H1N1 per diminuire le opportunità di ricombinazione con altri sottotipi. Ma attualmente non esistono strumenti o modelli teorici per prevedere una eventuale evoluzione pericolosa del virus. Sul piano teorico, proprio la vaccinazione di massa potrebbe indurre il virus a mutare in una forma più aggressiva.
Come curarsi?
Per curare l'influenza A occorrono: riposo, una buona idratazione, una alimentazione adeguata, una igiene corretta. Non si deve tossire davanti agli altri senza riparare naso e bocca, bisogna evitare di toccarsi il naso, la bocca, gli occhi, facili vie di accesso dei virus, occorre lavarsi le mani spesso ed accuratamente con acqua e sapone. Non è dimostrato che l'uso di mascherine serva a limitare la propagazione dell'epidemia.
Se decidete comunque per la vaccinazione, vi verrà richiesto di firmare il "consenso informato", una informativa sui rischi. Leggetelo bene, prima di decidere, chiedete informazioni scritte sui benefici e i rischi. Chiedete e chiediamo insieme, per tutti i vaccinati, che sia attivato un programma di sorveglianza attivo, capace davvero di registrare e trattare i gravi problemi di salute che possono presentarsi dopo la vaccinazione. Chiedete e chiediamo che si prevedano risorse economiche per l'indennizzo ai danneggiati.
Chiediamo di non speculare sulla salute e sulla paura.
Dott. Eugenio Serravalle,
Specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura-Patologia Neonatale
Pisa 6 settembre 2009
Eugenio Serravalle
autore di Bambini super-vaccinati
venerdì 11 settembre 2009
NANOPATOLOGIE: INFORMAZIONE E BUSINESS
L’Uomo (lo scrivo con la maiuscola) è un animale a suo modo unico, e tra le tante unicità c’è quella del progresso. Non intendo qui un progresso darwinianamente biologico, vale a dire un’evoluzione zoologicamente intesa, ma un cammino più o meno a volte parallelo e a volte intersecato di sociologia e tecnologia.
Senza pretendere approfondimenti sociologici che nemmeno mi competerebbero, vorrei solo far notare come l’informazione, prerogativa così tipicamente seppur non esclusivamente umana, viaggi e si propaghi oggi con una velocità vertiginosa e le notizie - certe notizie - facciano davvero il giro del mondo in un battibaleno. Velocità figlia di una raffinatezza tecnologica che, tuttavia, non è sinonimo né di una selezione che gradui la rilevanza reale della notizia né, tanto meno, di accuratezza. Anzi, la velocità mai sperimentata prima ha generato regole nuovissime di competizione tra chi diffonde le notizie, regole che prescindono il più delle volte dall’attendibilità di chi quelle notizie propala e che dipendono pesantemente da come la notizia è offerta.
Va da sé che chi può permettersi di diffondere con efficienza tecnica informazioni o informazione (due idee per molti versi differenti, la prima essendo l’insieme delle novità e la seconda l’illustrazione di concetti) regge in pugno un potere formidabile nel senso etimologico del termine, cioè “che mette spavento”. E, con le stesse tecniche, può permettersi di manipolare il resoconto dei fatti fino a mutilarlo, fino a stravolgerlo completamente, fino ad imbavagliarlo, fino a tacerlo e, di fatto, ad annichilirlo. Si tenga poi conto di una sorta di reazione a catena: parte quello che si chiama un “lancio” e, arrivato ad una delle tante destinazioni iniziali, viene rilanciato non esattamente vergine, con una verginità perduta in modo diverso ad ognuna delle nuove origini, per raggiungere altri destinatari ed essere manipolato ancora. E così finché il messaggio non si spegne spontaneamente.
Chi sia stato testimone oculare di un avvenimento e ne abbia poi letto il resoconto in un giornale ha quasi certamente toccato con mano il fenomeno, sia pure allo stato nascente, quando ancora non c’era stato modo perché la manipolazione, maliziosa o in buona fede che fosse, avesse raggiunto livelli tali da rendere il tutto irriconoscibile.
Una delle tecniche di successo di chi manipola l’informazione è certamente quella di generare ad arte un’attenzione innocua che vada ad occupare lo spazio potenzialmente dedicabile ad un interesse capace di portare detrimento a faccende non proprio nobili. Ecco, allora, le pagine di giornali e il minutaggio di radio e TV dedicati a “normali” omicidi, a scaldaletti da rotocalco di quart’ordine, alle gesta di personaggi più o meno effimeri dello spettacolo e quant’altro.
Un paio d’anni fa mi trovavo in Australia e, desiderando sapere qualcosa dall’Italia, mi sintonizzavo quotidianamente su di un canale televisivo che la mattina di buon’ora trasmetteva il notiziario di RAI International. Della decina di minuti disponibili, almeno la metà era dedicata all’“omicidio di Garlasco” e, per qualche giorno, ci si interessò pure delle esternazioni ecologiche di Adriano Celentano. Il tutto ad ovvio scapito di ben altro.
Uno degli argomenti in effervescenza al momento è quello dell’ecologia,vale a dire quello di cui io mi occupo per professione. Situazioni non proprio tranquillizzanti, tecnologia, business, politica, informazione, disinformazione, minimizzazioni, isteria, scienza… In un malinteso sul significato reale di democrazia ognuno si sente in diritto di dire la propria, più o meno come accade quando ogni italiano pretende, magari strepitando e sostenendo chissà quali competenze, di dettare la formazione della nazionale di calcio.
Ormai da qualche anno il pubblico viene bombardato da notizie a dir poco contrastanti: l’inquinamento è innocuo; l’inquinamento è mortale.
L’argomento non è certo immune da interferenze che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica o, almeno, con ciò che la scienza è riuscita ad individuare ad oggi.
È dolorosamente noto, almeno a chi le notizie non le subisce ma le cerca e le setaccia, che sono in corso business colossali che coinvolgono il mercato degli spostamenti, automobili in testa, e dei rifiuti, ed è altrettanto dolorosamente noto, e questo da tempo immemorabile, che davanti al denaro non sono in tanti a mantenersi lucidi. Money makes the world go around, il denaro fa girare il mondo, canta una ormai vecchia canzone, e se la cosa non è astronomicamente vera, un fondamento nella realtà dei fatti, anche se poeticamente traslata, ce l’ha.
Prendiamo il primo tema, quello delle automobili.
Non è solo l’Italia ad aver puntato su questo mezzo di trasporto a scapito di altri come, ad esempio, il treno. Chi conosce Los Angeles, una città vastissima, sa benissimo che laggiù senza automobile non ci si muove perché il trasporto pubblico è più o meno inesistente. Automobile, dunque, e tutte le conseguenze del caso, una delle quali è un innegabile inquinamento dell’atmosfera.
Dato che automobilisti siamo tutti, e chi non lo è come pilota lo è come passeggero, e che nessuno è disposto a rinunciare ad esserlo, ecco che la colpa dell’avvelenamento dell’aria non risparmia un solo uomo. A questo punto, stante la vastità del mercato, perché non fare business?
E il business, nell’occasione, si chiama filtro antiparticolato – FAP è una delle sigle affibbiategli, - vale a dire un sistema da applicare sui tubi di scarico dei fumi prodotti dai motori a ciclo Diesel e che sta diventando obbligatorio in un bel po’ di paesi a livello planetario.
L’informazione che viene fatta circolare è che le polveri normalmente espulse da quei motori scomparirà con indicibile vantaggio per l’ambiente. Parola di fior di scienziati e, così, un affare miliardario per i produttori è assicurato addirittura per legge.
La realtà dei fatti, ahimé, è tutt’altra.
Non un grammo di polveri scomparirà e, del resto, il concetto di scomparsa non esiste in Natura dove, invece, vale la regola del “nulla si crea e nulla si distrugge”. In quegli apparati le polveri grossolane che escono dagli scarichi vengono frantumate in particelle infinitamente più piccole che, nel loro complesso, mantengono la massa iniziale ma, proprio a causa delle loro dimensioni diventate così ridotte, sono capaci d’insinuarsi in profondità nell’organismo, innescando potenzialmente una lunga serie di malattie chiamate nanopatologie. Stiamo parlando di malattie cardiovascolari che comprendono aterosclerosi, infarto cardiaco, ictus e tromboembolia polmonare; stiamo parlando di parecchie forme tumorali; stiamo parlando di malattie endocrine come il diabete; stiamo parlando di malattie neurologiche come il Morbo di Parkinson e il Morbo di Alzheimer; stiamo parlando di aborti e malformazioni fetali. Non cose di poco conto, insomma.
Altra cosa che viene taciuta dagli organi d’informazione è che, con quei sistemi, il consumo di carburante aumenta e, di conseguenza, aumentano i residui degli scarichi. E nulla si dice del fatto che, a fine vita, non sapremo come disfarci dei filtri, dispositivi pesanti, ingombranti e, ad oggi, non recuperabili.
Analoga informazione “adattata” viene diffusa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti.
Anche in questo caso, non pochi “scienziati”, e le virgolette non sono a caso, si prestano a giurare che bruciare rifiuti significa ricavarne energia con un impatto ecologico nullo.
Malauguratamente, tutto questo non ha riscontro nella realtà. A conti fatti come si deve, senza trascurare gli addendi scomodi, l’energia ricavata è infinitamente inferiore rispetto a quella utilizzata per produrre ciò che si brucia e che, nella maggior parte dei casi, può essere vantaggiosamente recuperato, laddove il vantaggio è sia economico sia ecologico. Quanto, poi, all’impatto nullo, si entra davvero nel grottesco. È dagli Anni Ottanta del Settecento che abbiamo coscienza scientifica del fatto che non è possibile distruggere la massa della materia ma è solo possibile trasformarla. Così, se io brucio una tonnellata di rifiuti è inevitabile in forza di Natura che una tonnellata di qualcosa d’altro esca dal camino. Anzi, dovendo per motivi tecnici aggiungere a quella tonnellata altrettanta massa di altre sostanze, dall’acqua all’ammoniaca, dal metano al bicarbonato, dalla soda al carbone, il risultato è che una tonnellata di rifiuti produce senza scampo due tonnellate di qualcosa d’altro. E quel qualcosa d’altro sarà, ahimé, infinitamente più aggressivo per la salute di ciò che è entrato nel forno, essendo stato trasformato in gran parte in polveri finissime con le caratteristiche accennate qualche riga fa.
Così, ciò che circola e che si trasforma in verità nella mente di chi, poi, deve accettare e pagare il filtro o l’inceneritore di rifiuti, in Italia ribattezzato “termovalorizzatore” per completare l’opera di vendita dell’idea, è mezza verità o bugia tout court.
Ma, almeno nel campo scientifico, esempi ce ne sono a iosa. Basta andare indietro qualche anno per trovare lavori “scientifici” (di nuovo le virgolette) che dimostravano al di là di ogni dubbio l’innocuità dell’amianto, o dei CFC - i gas che si mettevano nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria - o del fumo di tabacco, o del DDT o, addirittura, della diossina. E basta prendere un po’ di certa letteratura su inceneritori, centrali a biomasse, biocarburanti e quant’altro sbandierata da chi non può certo dirsi esente da conflitti stridenti d’interessi perché chi ha cognizione di causa si accorga che nulla è cambiato.
Che fare, allora? La mia opinione è che sia perfettamente inutile illudersi di porre un rimedio conclusivo al fenomeno. Da che esiste una società umana con relazioni sufficientemente complesse manipolare l’informazione è uno dei metodi più affidabili per acquisire potere e, perfino, per vincere le guerre.
Solo la cultura ci può dare una mano, ma, in termini pratici, non c’è uomo che ne sia sufficientemente dotato per potersi difendere in maniera efficiente in un mondo sempre più intricato. Una dose robusta di pazienza diventa così necessaria per poter almeno cercare fonti diverse riguardanti la stessa notizia e poi, da lì, incrociamo le dita.
Stefano Montanari
http://tempovissuto.blogspot.com/2009/09/nanoparticelle-informazione-e-business.html
Senza pretendere approfondimenti sociologici che nemmeno mi competerebbero, vorrei solo far notare come l’informazione, prerogativa così tipicamente seppur non esclusivamente umana, viaggi e si propaghi oggi con una velocità vertiginosa e le notizie - certe notizie - facciano davvero il giro del mondo in un battibaleno. Velocità figlia di una raffinatezza tecnologica che, tuttavia, non è sinonimo né di una selezione che gradui la rilevanza reale della notizia né, tanto meno, di accuratezza. Anzi, la velocità mai sperimentata prima ha generato regole nuovissime di competizione tra chi diffonde le notizie, regole che prescindono il più delle volte dall’attendibilità di chi quelle notizie propala e che dipendono pesantemente da come la notizia è offerta.
Va da sé che chi può permettersi di diffondere con efficienza tecnica informazioni o informazione (due idee per molti versi differenti, la prima essendo l’insieme delle novità e la seconda l’illustrazione di concetti) regge in pugno un potere formidabile nel senso etimologico del termine, cioè “che mette spavento”. E, con le stesse tecniche, può permettersi di manipolare il resoconto dei fatti fino a mutilarlo, fino a stravolgerlo completamente, fino ad imbavagliarlo, fino a tacerlo e, di fatto, ad annichilirlo. Si tenga poi conto di una sorta di reazione a catena: parte quello che si chiama un “lancio” e, arrivato ad una delle tante destinazioni iniziali, viene rilanciato non esattamente vergine, con una verginità perduta in modo diverso ad ognuna delle nuove origini, per raggiungere altri destinatari ed essere manipolato ancora. E così finché il messaggio non si spegne spontaneamente.
Chi sia stato testimone oculare di un avvenimento e ne abbia poi letto il resoconto in un giornale ha quasi certamente toccato con mano il fenomeno, sia pure allo stato nascente, quando ancora non c’era stato modo perché la manipolazione, maliziosa o in buona fede che fosse, avesse raggiunto livelli tali da rendere il tutto irriconoscibile.
Una delle tecniche di successo di chi manipola l’informazione è certamente quella di generare ad arte un’attenzione innocua che vada ad occupare lo spazio potenzialmente dedicabile ad un interesse capace di portare detrimento a faccende non proprio nobili. Ecco, allora, le pagine di giornali e il minutaggio di radio e TV dedicati a “normali” omicidi, a scaldaletti da rotocalco di quart’ordine, alle gesta di personaggi più o meno effimeri dello spettacolo e quant’altro.
Un paio d’anni fa mi trovavo in Australia e, desiderando sapere qualcosa dall’Italia, mi sintonizzavo quotidianamente su di un canale televisivo che la mattina di buon’ora trasmetteva il notiziario di RAI International. Della decina di minuti disponibili, almeno la metà era dedicata all’“omicidio di Garlasco” e, per qualche giorno, ci si interessò pure delle esternazioni ecologiche di Adriano Celentano. Il tutto ad ovvio scapito di ben altro.
Uno degli argomenti in effervescenza al momento è quello dell’ecologia,vale a dire quello di cui io mi occupo per professione. Situazioni non proprio tranquillizzanti, tecnologia, business, politica, informazione, disinformazione, minimizzazioni, isteria, scienza… In un malinteso sul significato reale di democrazia ognuno si sente in diritto di dire la propria, più o meno come accade quando ogni italiano pretende, magari strepitando e sostenendo chissà quali competenze, di dettare la formazione della nazionale di calcio.
Ormai da qualche anno il pubblico viene bombardato da notizie a dir poco contrastanti: l’inquinamento è innocuo; l’inquinamento è mortale.
L’argomento non è certo immune da interferenze che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica o, almeno, con ciò che la scienza è riuscita ad individuare ad oggi.
È dolorosamente noto, almeno a chi le notizie non le subisce ma le cerca e le setaccia, che sono in corso business colossali che coinvolgono il mercato degli spostamenti, automobili in testa, e dei rifiuti, ed è altrettanto dolorosamente noto, e questo da tempo immemorabile, che davanti al denaro non sono in tanti a mantenersi lucidi. Money makes the world go around, il denaro fa girare il mondo, canta una ormai vecchia canzone, e se la cosa non è astronomicamente vera, un fondamento nella realtà dei fatti, anche se poeticamente traslata, ce l’ha.
Prendiamo il primo tema, quello delle automobili.
Non è solo l’Italia ad aver puntato su questo mezzo di trasporto a scapito di altri come, ad esempio, il treno. Chi conosce Los Angeles, una città vastissima, sa benissimo che laggiù senza automobile non ci si muove perché il trasporto pubblico è più o meno inesistente. Automobile, dunque, e tutte le conseguenze del caso, una delle quali è un innegabile inquinamento dell’atmosfera.
Dato che automobilisti siamo tutti, e chi non lo è come pilota lo è come passeggero, e che nessuno è disposto a rinunciare ad esserlo, ecco che la colpa dell’avvelenamento dell’aria non risparmia un solo uomo. A questo punto, stante la vastità del mercato, perché non fare business?
E il business, nell’occasione, si chiama filtro antiparticolato – FAP è una delle sigle affibbiategli, - vale a dire un sistema da applicare sui tubi di scarico dei fumi prodotti dai motori a ciclo Diesel e che sta diventando obbligatorio in un bel po’ di paesi a livello planetario.
L’informazione che viene fatta circolare è che le polveri normalmente espulse da quei motori scomparirà con indicibile vantaggio per l’ambiente. Parola di fior di scienziati e, così, un affare miliardario per i produttori è assicurato addirittura per legge.
La realtà dei fatti, ahimé, è tutt’altra.
Non un grammo di polveri scomparirà e, del resto, il concetto di scomparsa non esiste in Natura dove, invece, vale la regola del “nulla si crea e nulla si distrugge”. In quegli apparati le polveri grossolane che escono dagli scarichi vengono frantumate in particelle infinitamente più piccole che, nel loro complesso, mantengono la massa iniziale ma, proprio a causa delle loro dimensioni diventate così ridotte, sono capaci d’insinuarsi in profondità nell’organismo, innescando potenzialmente una lunga serie di malattie chiamate nanopatologie. Stiamo parlando di malattie cardiovascolari che comprendono aterosclerosi, infarto cardiaco, ictus e tromboembolia polmonare; stiamo parlando di parecchie forme tumorali; stiamo parlando di malattie endocrine come il diabete; stiamo parlando di malattie neurologiche come il Morbo di Parkinson e il Morbo di Alzheimer; stiamo parlando di aborti e malformazioni fetali. Non cose di poco conto, insomma.
Altra cosa che viene taciuta dagli organi d’informazione è che, con quei sistemi, il consumo di carburante aumenta e, di conseguenza, aumentano i residui degli scarichi. E nulla si dice del fatto che, a fine vita, non sapremo come disfarci dei filtri, dispositivi pesanti, ingombranti e, ad oggi, non recuperabili.
Analoga informazione “adattata” viene diffusa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti.
Anche in questo caso, non pochi “scienziati”, e le virgolette non sono a caso, si prestano a giurare che bruciare rifiuti significa ricavarne energia con un impatto ecologico nullo.
Malauguratamente, tutto questo non ha riscontro nella realtà. A conti fatti come si deve, senza trascurare gli addendi scomodi, l’energia ricavata è infinitamente inferiore rispetto a quella utilizzata per produrre ciò che si brucia e che, nella maggior parte dei casi, può essere vantaggiosamente recuperato, laddove il vantaggio è sia economico sia ecologico. Quanto, poi, all’impatto nullo, si entra davvero nel grottesco. È dagli Anni Ottanta del Settecento che abbiamo coscienza scientifica del fatto che non è possibile distruggere la massa della materia ma è solo possibile trasformarla. Così, se io brucio una tonnellata di rifiuti è inevitabile in forza di Natura che una tonnellata di qualcosa d’altro esca dal camino. Anzi, dovendo per motivi tecnici aggiungere a quella tonnellata altrettanta massa di altre sostanze, dall’acqua all’ammoniaca, dal metano al bicarbonato, dalla soda al carbone, il risultato è che una tonnellata di rifiuti produce senza scampo due tonnellate di qualcosa d’altro. E quel qualcosa d’altro sarà, ahimé, infinitamente più aggressivo per la salute di ciò che è entrato nel forno, essendo stato trasformato in gran parte in polveri finissime con le caratteristiche accennate qualche riga fa.
Così, ciò che circola e che si trasforma in verità nella mente di chi, poi, deve accettare e pagare il filtro o l’inceneritore di rifiuti, in Italia ribattezzato “termovalorizzatore” per completare l’opera di vendita dell’idea, è mezza verità o bugia tout court.
Ma, almeno nel campo scientifico, esempi ce ne sono a iosa. Basta andare indietro qualche anno per trovare lavori “scientifici” (di nuovo le virgolette) che dimostravano al di là di ogni dubbio l’innocuità dell’amianto, o dei CFC - i gas che si mettevano nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria - o del fumo di tabacco, o del DDT o, addirittura, della diossina. E basta prendere un po’ di certa letteratura su inceneritori, centrali a biomasse, biocarburanti e quant’altro sbandierata da chi non può certo dirsi esente da conflitti stridenti d’interessi perché chi ha cognizione di causa si accorga che nulla è cambiato.
Che fare, allora? La mia opinione è che sia perfettamente inutile illudersi di porre un rimedio conclusivo al fenomeno. Da che esiste una società umana con relazioni sufficientemente complesse manipolare l’informazione è uno dei metodi più affidabili per acquisire potere e, perfino, per vincere le guerre.
Solo la cultura ci può dare una mano, ma, in termini pratici, non c’è uomo che ne sia sufficientemente dotato per potersi difendere in maniera efficiente in un mondo sempre più intricato. Una dose robusta di pazienza diventa così necessaria per poter almeno cercare fonti diverse riguardanti la stessa notizia e poi, da lì, incrociamo le dita.
Stefano Montanari
http://tempovissuto.blogspot.com/2009/09/nanoparticelle-informazione-e-business.html
martedì 8 settembre 2009
Nanopatologie e torri gemelle
ANSA: 9/11-oLTRE 800 MORTI TRA I SOCCORRITORI
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2009-09-07_107405893.html
LEGGENDO QUESTA NOTIZIA HO RIPRESO IN MANO IL LIBRO "IL GIRONE DELLE POLVERI SOTTILI" DOVE TUTTO CIO' PURTROPPO ERA GIA1 ANNUNCIATO, QUI RIPORTO PARTE DI QUEL CAPITOLO.Da "IL GIRONE DELLE POLVERI SOTTILI" Autore: Stefano Montanari Ed. Macro Edizioni
(1°ed. febbraio 2008)
Estratto del capitolo 26
Tutti ricordano il crollo delle Torri Gemelle di New York. Era l'11 settembre 2001, una data che potrà essere adottata dai libri di scuola del futuro come quella di un'epoca che si apre.
Quel giorno io ero a Modena e Morena [dott.ssa Gatti] a Londra. Tutti e due vedemmo il disastro in diretta TV e Morena mi telefonò dicendomi che, con tutta quella polvere, era impossibile che non si verificasse un'impennata delle "nostre" patologie. La considerazione era ormai del tutto ovvia per noi. A un anno di distanza, il New York Herald Tribune chiese ai lettori di tutto il mondo di mandare qualche riga in commemorazione del disastro, e Morena scrisse che ci sarebbe stata tutta una serie di malattie e di morti di cui non si sarebbe capita la causa. Un messaggio un po' alla Nostradamus per chi non fosse informato sulle nanopatologie, ma chiarissimo e lapalissiano per tutti gli altri.
La cosa non ebbe alcun seguito finché una sera di fine agosto del 2004 mi squillò il telefono cellulare. Qualcuno mi chiamava da New York, dicendo che c'erano 170.000 persone che si erano ammalate di quelle che poi erano nanopatologie e chiedendo un intervento a buoi scappati. Non era certo la prima volta che avevamo conferma della teoria secondo cui a tanta polvere corrisponde l'instaurarsi di malattia. [...]
...[a New York] per motivi politici si era deciso di dimostrare che, se i grattaceli erano crollati, se i morti c'erano stai, anche perchè quelle cose le avevamo viste tutti, la cosa era finita lì senza altre conseguenze.
Morena andò a New York, invitata da una associazione di ricerca chiamata FASE,
A New York, a due passi dal cratere del Ground Zero, c'era, e c'è tuttora, un piccolo centro in cui si trattano i pompieri che erano stati coinvolti nelle operazioni di soccorso e che per settimane, quando non addirittura per mesi, avevano respirato e mangiato la polvere finissima che il disastro aveva generato. Nel disastro erano letteralmente spariti due aerei e due fra i più grandi grattacieli del mondo con tutto ciò che aerei e grattacieli contenevano, compresi molte migliaia di computer con tutti gli elementi insoliti che li compongono e migliaia di tonnellate di amianto, un minerale la cui capacità di indurre il cancro è notissima e indiscussa. Spariti dalla vista, ma, in realtà, trasformati in qualcosa d'altro: gas e polveri sottilissime e, a sentire le testimonianze unanimi di chi a New York abitava, queste polveri invadevano l'ambiente insinuandosi con grande facilità all'interno delle abitazioni: una specie di talco bianco, almeno così ci veniva descritto, che si posava lentamente ovunque ma che, prima di posarsi aveva aleggiato nell'aria per molto tempo. Ad aggravare la situazione c'erano i condizionatori d'aria usati, come del resto in tutti gli Stati Uniti in maniera inutile e addirittura maniacale, e questi apparecchi convogliavano aria inquinata negli appartamenti dove la gente abitava, restandone inquinati a loro volta. L'EPA, l'ente di protezione ambientale più o meno omologo della nostra ARPA, si piegò immediatamente ai voleri della politica, per demenziali che questi voleri fossero, e rassicurò immediatamente la popolazione e i soccorritori: l'aria era perfettamente respirabile senza alcun pericolo. Quella follia fu pagata a caro prezzo perchè non furono prese le precauzioni del caso e si lavorò per settimane senza nessuna forma di protezione, mentre gli abitanti della città andavano, venivano e mangiavano senza sapere a quali pericoli andassero incontro. Il solo iniziare i lavori immediatamente, tranquillizzati dall'EPA, invece di aspettare che almeno parte delle polveri si disperdessero per diluizione fu alla lunga un vero e proprio disastro. Così, pochissimi portavano una maschera protettiva davanti al volto, il cibo rimaneva esposto all'aria e le mani non erano sempre lavate adeguatamente prima di mangiare. Poi quella polvere fine finiva inevitabilmente negli abiti e nei capelli di chi era impegnato in zona trovando così un ulteriore vettore. Comunque, stante il comportamento di quel tipo di particelle, è logico pensare che entro poche ore esse si trovassero in concentrazioni più o meno elevate entro un raggio ragguardevole. In aggiunta i detriti furono trasferiti in un'isola appena fuori New York dove le polveri sono a disposizione del vento.
Le conseguenze furono la solita tosse secca incoercibile, la solita diarrea abbastanza modesta e un po' di febbre. poi, piano piano, ecco l'instaurarsi di malattie, la più vistosa delle quali è la CFS (Chronic Fatigue Sindrome), quello stato di stanchezza cronica accompagnato da tutta una serie di sintomi di cui già si è accennato e che è quasi una costante tra i militari di Sindrome del Golfo o dei Balcani. Non poteva che farmi un certo effetto, quando anch'io andai a New York vedere i pompieri, uomini che parevano usciti da un film di Rambo, incapaci di compiere sforzi per chiunque abbordabilissimi uscire stremati da qualsiasi attività per quanto modesta. [...]
Può essere in un certo senso curioso vedere come oggi a distanza di anni e al cospetto di manifestazioni diventate ormai troppo palesi per passare sotto silenzio, diversi ricercatori americani e non solo stiano notando ciò che avevamo notato noi da tempo e di questo si attribuiscano una primogenitura. A noi la cosa non interessa: non sono meriti quelli che noi cerchiamo ma soluzioni
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2009-09-07_107405893.html
LEGGENDO QUESTA NOTIZIA HO RIPRESO IN MANO IL LIBRO "IL GIRONE DELLE POLVERI SOTTILI" DOVE TUTTO CIO' PURTROPPO ERA GIA1 ANNUNCIATO, QUI RIPORTO PARTE DI QUEL CAPITOLO.Da "IL GIRONE DELLE POLVERI SOTTILI" Autore: Stefano Montanari Ed. Macro Edizioni
(1°ed. febbraio 2008)
Estratto del capitolo 26
Tutti ricordano il crollo delle Torri Gemelle di New York. Era l'11 settembre 2001, una data che potrà essere adottata dai libri di scuola del futuro come quella di un'epoca che si apre.
Quel giorno io ero a Modena e Morena [dott.ssa Gatti] a Londra. Tutti e due vedemmo il disastro in diretta TV e Morena mi telefonò dicendomi che, con tutta quella polvere, era impossibile che non si verificasse un'impennata delle "nostre" patologie. La considerazione era ormai del tutto ovvia per noi. A un anno di distanza, il New York Herald Tribune chiese ai lettori di tutto il mondo di mandare qualche riga in commemorazione del disastro, e Morena scrisse che ci sarebbe stata tutta una serie di malattie e di morti di cui non si sarebbe capita la causa. Un messaggio un po' alla Nostradamus per chi non fosse informato sulle nanopatologie, ma chiarissimo e lapalissiano per tutti gli altri.
La cosa non ebbe alcun seguito finché una sera di fine agosto del 2004 mi squillò il telefono cellulare. Qualcuno mi chiamava da New York, dicendo che c'erano 170.000 persone che si erano ammalate di quelle che poi erano nanopatologie e chiedendo un intervento a buoi scappati. Non era certo la prima volta che avevamo conferma della teoria secondo cui a tanta polvere corrisponde l'instaurarsi di malattia. [...]
...[a New York] per motivi politici si era deciso di dimostrare che, se i grattaceli erano crollati, se i morti c'erano stai, anche perchè quelle cose le avevamo viste tutti, la cosa era finita lì senza altre conseguenze.
Morena andò a New York, invitata da una associazione di ricerca chiamata FASE,
A New York, a due passi dal cratere del Ground Zero, c'era, e c'è tuttora, un piccolo centro in cui si trattano i pompieri che erano stati coinvolti nelle operazioni di soccorso e che per settimane, quando non addirittura per mesi, avevano respirato e mangiato la polvere finissima che il disastro aveva generato. Nel disastro erano letteralmente spariti due aerei e due fra i più grandi grattacieli del mondo con tutto ciò che aerei e grattacieli contenevano, compresi molte migliaia di computer con tutti gli elementi insoliti che li compongono e migliaia di tonnellate di amianto, un minerale la cui capacità di indurre il cancro è notissima e indiscussa. Spariti dalla vista, ma, in realtà, trasformati in qualcosa d'altro: gas e polveri sottilissime e, a sentire le testimonianze unanimi di chi a New York abitava, queste polveri invadevano l'ambiente insinuandosi con grande facilità all'interno delle abitazioni: una specie di talco bianco, almeno così ci veniva descritto, che si posava lentamente ovunque ma che, prima di posarsi aveva aleggiato nell'aria per molto tempo. Ad aggravare la situazione c'erano i condizionatori d'aria usati, come del resto in tutti gli Stati Uniti in maniera inutile e addirittura maniacale, e questi apparecchi convogliavano aria inquinata negli appartamenti dove la gente abitava, restandone inquinati a loro volta. L'EPA, l'ente di protezione ambientale più o meno omologo della nostra ARPA, si piegò immediatamente ai voleri della politica, per demenziali che questi voleri fossero, e rassicurò immediatamente la popolazione e i soccorritori: l'aria era perfettamente respirabile senza alcun pericolo. Quella follia fu pagata a caro prezzo perchè non furono prese le precauzioni del caso e si lavorò per settimane senza nessuna forma di protezione, mentre gli abitanti della città andavano, venivano e mangiavano senza sapere a quali pericoli andassero incontro. Il solo iniziare i lavori immediatamente, tranquillizzati dall'EPA, invece di aspettare che almeno parte delle polveri si disperdessero per diluizione fu alla lunga un vero e proprio disastro. Così, pochissimi portavano una maschera protettiva davanti al volto, il cibo rimaneva esposto all'aria e le mani non erano sempre lavate adeguatamente prima di mangiare. Poi quella polvere fine finiva inevitabilmente negli abiti e nei capelli di chi era impegnato in zona trovando così un ulteriore vettore. Comunque, stante il comportamento di quel tipo di particelle, è logico pensare che entro poche ore esse si trovassero in concentrazioni più o meno elevate entro un raggio ragguardevole. In aggiunta i detriti furono trasferiti in un'isola appena fuori New York dove le polveri sono a disposizione del vento.
Le conseguenze furono la solita tosse secca incoercibile, la solita diarrea abbastanza modesta e un po' di febbre. poi, piano piano, ecco l'instaurarsi di malattie, la più vistosa delle quali è la CFS (Chronic Fatigue Sindrome), quello stato di stanchezza cronica accompagnato da tutta una serie di sintomi di cui già si è accennato e che è quasi una costante tra i militari di Sindrome del Golfo o dei Balcani. Non poteva che farmi un certo effetto, quando anch'io andai a New York vedere i pompieri, uomini che parevano usciti da un film di Rambo, incapaci di compiere sforzi per chiunque abbordabilissimi uscire stremati da qualsiasi attività per quanto modesta. [...]
Può essere in un certo senso curioso vedere come oggi a distanza di anni e al cospetto di manifestazioni diventate ormai troppo palesi per passare sotto silenzio, diversi ricercatori americani e non solo stiano notando ciò che avevamo notato noi da tempo e di questo si attribuiscano una primogenitura. A noi la cosa non interessa: non sono meriti quelli che noi cerchiamo ma soluzioni
lunedì 7 settembre 2009
Garattini scettico sul vaccino antinfluenza
INFLUENZA "A": GARATTINI , VACCINO ANCORA 'VIRTUALE' - Roma, 1 set. - "Niente allarmismi e cautela innanzitutto. Stiamo parlando di un vaccino 'virtuale', che al momento non c'e'". Lo ha detto a "La stampa" il farmacologo Silvio Garattini, fondatore e direttore dell'Istituto Mario Negri di Milano. "Si stanno ancora facendo i test, poi vanno valutati gli effetti collaterali, quindi ci vorra' l'approvazione delle autorita' regolatorie. Infine ci sara' da attendere i tempi di produzione e distribuzione. Insomma, ammettendo che si parta davvero il 15 novembre, se ci saranno due somministrazioni il sistema non sara' efficiente prima di fine anno. Per ora quindi raccomando cautela perche' si rischia di dare delle indicazioni che poi potranno essere disattese e cambiate". Perche' siano significativi, sottolinea il farmacologo, "i test devono essere fatti su migliaia di persone, poi bisognera' attendere di vedere qual e' la produzione di anticorpi per stabilire quale dovra' essere la dose. Per questo e' fondamentale che non ci sia alcuna fretta in questa fase". Garattini raccomanda alla popolazione di non farsi prendere dal panico: "Allo stato attuale non ce ne e' motivo. Quello che invece bisogna assolutamente evitare e' che la gente si precipiti a intasare i Pronto soccorso e a farsi raccomandare per avere vaccino e farmaci". Le aziende farmaceutiche che produrranno il vaccino sono quattro: "Evidentemente l'affare e' enorme, solo il governo francese ha detto che spendera' un miliardo di euro. E qui bisognera' davvero vigilare perche' gli interessi industriali non prevalgano su quelli della gente".
http://salute.agi.it/primapagina/notizie/200909011027-hpg-rsa0009-influenza_a_garattini_vaccino_ancora_virtuale
http://salute.agi.it/primapagina/notizie/200909011027-hpg-rsa0009-influenza_a_garattini_vaccino_ancora_virtuale
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