L’Uomo (lo scrivo con la maiuscola) è un animale a suo modo unico, e tra le tante unicità c’è quella del progresso. Non intendo qui un progresso darwinianamente biologico, vale a dire un’evoluzione zoologicamente intesa, ma un cammino più o meno a volte parallelo e a volte intersecato di sociologia e tecnologia.
Senza pretendere approfondimenti sociologici che nemmeno mi competerebbero, vorrei solo far notare come l’informazione, prerogativa così tipicamente seppur non esclusivamente umana, viaggi e si propaghi oggi con una velocità vertiginosa e le notizie - certe notizie - facciano davvero il giro del mondo in un battibaleno. Velocità figlia di una raffinatezza tecnologica che, tuttavia, non è sinonimo né di una selezione che gradui la rilevanza reale della notizia né, tanto meno, di accuratezza. Anzi, la velocità mai sperimentata prima ha generato regole nuovissime di competizione tra chi diffonde le notizie, regole che prescindono il più delle volte dall’attendibilità di chi quelle notizie propala e che dipendono pesantemente da come la notizia è offerta.
Va da sé che chi può permettersi di diffondere con efficienza tecnica informazioni o informazione (due idee per molti versi differenti, la prima essendo l’insieme delle novità e la seconda l’illustrazione di concetti) regge in pugno un potere formidabile nel senso etimologico del termine, cioè “che mette spavento”. E, con le stesse tecniche, può permettersi di manipolare il resoconto dei fatti fino a mutilarlo, fino a stravolgerlo completamente, fino ad imbavagliarlo, fino a tacerlo e, di fatto, ad annichilirlo. Si tenga poi conto di una sorta di reazione a catena: parte quello che si chiama un “lancio” e, arrivato ad una delle tante destinazioni iniziali, viene rilanciato non esattamente vergine, con una verginità perduta in modo diverso ad ognuna delle nuove origini, per raggiungere altri destinatari ed essere manipolato ancora. E così finché il messaggio non si spegne spontaneamente.
Chi sia stato testimone oculare di un avvenimento e ne abbia poi letto il resoconto in un giornale ha quasi certamente toccato con mano il fenomeno, sia pure allo stato nascente, quando ancora non c’era stato modo perché la manipolazione, maliziosa o in buona fede che fosse, avesse raggiunto livelli tali da rendere il tutto irriconoscibile.
Una delle tecniche di successo di chi manipola l’informazione è certamente quella di generare ad arte un’attenzione innocua che vada ad occupare lo spazio potenzialmente dedicabile ad un interesse capace di portare detrimento a faccende non proprio nobili. Ecco, allora, le pagine di giornali e il minutaggio di radio e TV dedicati a “normali” omicidi, a scaldaletti da rotocalco di quart’ordine, alle gesta di personaggi più o meno effimeri dello spettacolo e quant’altro.
Un paio d’anni fa mi trovavo in Australia e, desiderando sapere qualcosa dall’Italia, mi sintonizzavo quotidianamente su di un canale televisivo che la mattina di buon’ora trasmetteva il notiziario di RAI International. Della decina di minuti disponibili, almeno la metà era dedicata all’“omicidio di Garlasco” e, per qualche giorno, ci si interessò pure delle esternazioni ecologiche di Adriano Celentano. Il tutto ad ovvio scapito di ben altro.
Uno degli argomenti in effervescenza al momento è quello dell’ecologia,vale a dire quello di cui io mi occupo per professione. Situazioni non proprio tranquillizzanti, tecnologia, business, politica, informazione, disinformazione, minimizzazioni, isteria, scienza… In un malinteso sul significato reale di democrazia ognuno si sente in diritto di dire la propria, più o meno come accade quando ogni italiano pretende, magari strepitando e sostenendo chissà quali competenze, di dettare la formazione della nazionale di calcio.
Ormai da qualche anno il pubblico viene bombardato da notizie a dir poco contrastanti: l’inquinamento è innocuo; l’inquinamento è mortale.
L’argomento non è certo immune da interferenze che nulla hanno a che vedere con la verità scientifica o, almeno, con ciò che la scienza è riuscita ad individuare ad oggi.
È dolorosamente noto, almeno a chi le notizie non le subisce ma le cerca e le setaccia, che sono in corso business colossali che coinvolgono il mercato degli spostamenti, automobili in testa, e dei rifiuti, ed è altrettanto dolorosamente noto, e questo da tempo immemorabile, che davanti al denaro non sono in tanti a mantenersi lucidi. Money makes the world go around, il denaro fa girare il mondo, canta una ormai vecchia canzone, e se la cosa non è astronomicamente vera, un fondamento nella realtà dei fatti, anche se poeticamente traslata, ce l’ha.
Prendiamo il primo tema, quello delle automobili.
Non è solo l’Italia ad aver puntato su questo mezzo di trasporto a scapito di altri come, ad esempio, il treno. Chi conosce Los Angeles, una città vastissima, sa benissimo che laggiù senza automobile non ci si muove perché il trasporto pubblico è più o meno inesistente. Automobile, dunque, e tutte le conseguenze del caso, una delle quali è un innegabile inquinamento dell’atmosfera.
Dato che automobilisti siamo tutti, e chi non lo è come pilota lo è come passeggero, e che nessuno è disposto a rinunciare ad esserlo, ecco che la colpa dell’avvelenamento dell’aria non risparmia un solo uomo. A questo punto, stante la vastità del mercato, perché non fare business?
E il business, nell’occasione, si chiama filtro antiparticolato – FAP è una delle sigle affibbiategli, - vale a dire un sistema da applicare sui tubi di scarico dei fumi prodotti dai motori a ciclo Diesel e che sta diventando obbligatorio in un bel po’ di paesi a livello planetario.
L’informazione che viene fatta circolare è che le polveri normalmente espulse da quei motori scomparirà con indicibile vantaggio per l’ambiente. Parola di fior di scienziati e, così, un affare miliardario per i produttori è assicurato addirittura per legge.
La realtà dei fatti, ahimé, è tutt’altra.
Non un grammo di polveri scomparirà e, del resto, il concetto di scomparsa non esiste in Natura dove, invece, vale la regola del “nulla si crea e nulla si distrugge”. In quegli apparati le polveri grossolane che escono dagli scarichi vengono frantumate in particelle infinitamente più piccole che, nel loro complesso, mantengono la massa iniziale ma, proprio a causa delle loro dimensioni diventate così ridotte, sono capaci d’insinuarsi in profondità nell’organismo, innescando potenzialmente una lunga serie di malattie chiamate nanopatologie. Stiamo parlando di malattie cardiovascolari che comprendono aterosclerosi, infarto cardiaco, ictus e tromboembolia polmonare; stiamo parlando di parecchie forme tumorali; stiamo parlando di malattie endocrine come il diabete; stiamo parlando di malattie neurologiche come il Morbo di Parkinson e il Morbo di Alzheimer; stiamo parlando di aborti e malformazioni fetali. Non cose di poco conto, insomma.
Altra cosa che viene taciuta dagli organi d’informazione è che, con quei sistemi, il consumo di carburante aumenta e, di conseguenza, aumentano i residui degli scarichi. E nulla si dice del fatto che, a fine vita, non sapremo come disfarci dei filtri, dispositivi pesanti, ingombranti e, ad oggi, non recuperabili.
Analoga informazione “adattata” viene diffusa per quanto riguarda la gestione dei rifiuti.
Anche in questo caso, non pochi “scienziati”, e le virgolette non sono a caso, si prestano a giurare che bruciare rifiuti significa ricavarne energia con un impatto ecologico nullo.
Malauguratamente, tutto questo non ha riscontro nella realtà. A conti fatti come si deve, senza trascurare gli addendi scomodi, l’energia ricavata è infinitamente inferiore rispetto a quella utilizzata per produrre ciò che si brucia e che, nella maggior parte dei casi, può essere vantaggiosamente recuperato, laddove il vantaggio è sia economico sia ecologico. Quanto, poi, all’impatto nullo, si entra davvero nel grottesco. È dagli Anni Ottanta del Settecento che abbiamo coscienza scientifica del fatto che non è possibile distruggere la massa della materia ma è solo possibile trasformarla. Così, se io brucio una tonnellata di rifiuti è inevitabile in forza di Natura che una tonnellata di qualcosa d’altro esca dal camino. Anzi, dovendo per motivi tecnici aggiungere a quella tonnellata altrettanta massa di altre sostanze, dall’acqua all’ammoniaca, dal metano al bicarbonato, dalla soda al carbone, il risultato è che una tonnellata di rifiuti produce senza scampo due tonnellate di qualcosa d’altro. E quel qualcosa d’altro sarà, ahimé, infinitamente più aggressivo per la salute di ciò che è entrato nel forno, essendo stato trasformato in gran parte in polveri finissime con le caratteristiche accennate qualche riga fa.
Così, ciò che circola e che si trasforma in verità nella mente di chi, poi, deve accettare e pagare il filtro o l’inceneritore di rifiuti, in Italia ribattezzato “termovalorizzatore” per completare l’opera di vendita dell’idea, è mezza verità o bugia tout court.
Ma, almeno nel campo scientifico, esempi ce ne sono a iosa. Basta andare indietro qualche anno per trovare lavori “scientifici” (di nuovo le virgolette) che dimostravano al di là di ogni dubbio l’innocuità dell’amianto, o dei CFC - i gas che si mettevano nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria - o del fumo di tabacco, o del DDT o, addirittura, della diossina. E basta prendere un po’ di certa letteratura su inceneritori, centrali a biomasse, biocarburanti e quant’altro sbandierata da chi non può certo dirsi esente da conflitti stridenti d’interessi perché chi ha cognizione di causa si accorga che nulla è cambiato.
Che fare, allora? La mia opinione è che sia perfettamente inutile illudersi di porre un rimedio conclusivo al fenomeno. Da che esiste una società umana con relazioni sufficientemente complesse manipolare l’informazione è uno dei metodi più affidabili per acquisire potere e, perfino, per vincere le guerre.
Solo la cultura ci può dare una mano, ma, in termini pratici, non c’è uomo che ne sia sufficientemente dotato per potersi difendere in maniera efficiente in un mondo sempre più intricato. Una dose robusta di pazienza diventa così necessaria per poter almeno cercare fonti diverse riguardanti la stessa notizia e poi, da lì, incrociamo le dita.
Stefano Montanari
http://tempovissuto.blogspot.com/2009/09/nanoparticelle-informazione-e-business.html
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