di Ferdinando Imposimato
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta2&id=71
Il magistrato autore delle prime inchieste sui mafiosi dei Palazzi punta l’indice contro i freschi emendamenti “anti intercettazioni” di ex colleghi ora parlamentari (Casson e D’Ambrosio). E contro quella Mala Politica che oggi cerca di delegittimare altri giudici-coraggio, come Clementina Forleo e Luigi De Magistris. Ecco il suo documentato e duro j’accuse.
Il Parlamento dovrebbe decidere sulla autorizzazione alla utilizzazione delle conversazioni telefoniche tra alcuni imputati e politici di maggioranza ed opposizione: é difficile che quegli stessi parlamentari, in grado di controllare molti voti, sia tra la maggioranza che nell’opposizione, possano dare il loro consenso all’uso delle telefonate, che invece, essendo per loro «irrilevanti penalmente», dovrebbe essere concesso senza problemi.
La dinamica dei fatti ricostruita dal giudice Clementina Forleo e dalle chiamate di correo dei protagonisti rei confessi - da Stefano Ricucci come da Gianpiero Fiorani e Antonio Fazio - e dalle intercettazioni telefoniche, conferma che la politica non ha espresso soltanto opinioni e incoraggiamenti, nelle scalate ad Antonveneta, a Bnl, al Corriere della Sera, al gruppo Riffeser. E’ stata protagonista attiva ed interessata. Con l’ambizione esplicita e dichiarata (parole del senatore Nicola Latorre) di «cambiare il volto del potere italiano».
Il 18 luglio 2005 i vari Consorte, Sacchetti e Cimbri formalizzavano il passaggio delle azioni di proprietà dei soci di Bnl, definiti contropattisti - Caltagirone, Ricucci, Coppola, Statuto, Lonati, Grazioli e Bonsignore - ai soggetti legati alla cordata Unipol; ed in tal modo provocavano una sensibile alterazione del prezzo dell’azione ordinaria della Bnl. Le conversazioni intercettate tra alcuni parlamentari dimostrano la complicità istituzionale di soggetti che conoscevano la portata ed il senso degli accadimenti che avevano portato alla alterazione del prezzo dell’azione Bnl, con danno dei risparmiatori. Alla richiesta di La Torre su come stavano le cose, Consorte riferiva che «é ormai certo che i contropattisti venderanno le loro azioni e che non sarà Unipol a comprare direttamente, ma terzi per suo conto». La Torre é d’accordo, segnalando che «ove occorresse, l’onorevole D’Alema potrebbe fare una chiamata a Gaetano Caltagirone». La Torre: «Ma che deve fare una telefonata Massimo all’ingegnere?». E Consorte di rimando «E’ meglio che Massimo fa una telefonata».
Nei 16 interrogatori Fiorani rivelò la sua rete precisando i pagamenti in contanti ai parlamentari di Forza Italia per creare una lobby in Parlamento a favore dell’ex governatore Antonio Fazio, e chiariva che l’idea della scalata all’Antonveneta da parte della Popolare di Lodi nacque nell’estate del 2004, con il via libera dell’allora premier Silvio Berlusconi e dell’ex governatore Fazio, durante un incontro a Villa Certosa in Sardegna, villa dei meeting in passato con altri potenti finanzieri poi caduti in disgrazia. In quella occasione, il presidente del Consiglio gli disse: «per me va bene se va bene per Fazio»
I parlamentari intercettati fornivano i loro supporti istituzionali in totale spregio della Costituzione, secondo cui (articolo 47) «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del diritto». Anziché tutelare il risparmio, i rappresentanti del popolo agivano in palese violazione delle regole poste a presidio dei piccoli azionisti e dei medi e piccoli risparmiatori, traditi proprio da chi, per Costituzione, quelle regole era chiamato a presidiare. I leader politici non si sono limitati ad attendere l’esito di una contesa di mercato. Sono intervenuti, con il peso del loro ruolo e responsabilità pubbliche, a vantaggio dei protetti. Berlusconi indica a Stefano Ricucci il partner industriale per l’assalto a via Solferino e scrutina i possibili mediatori. D’Alema consiglia a Consorte (Unipol) l’acquisto di pacchetti azionari e si dice pronto a parlare con Vito Bonsignore, mentre Piero Fassino e Pierluigi Bersani (come ha riferito ai pubblici ministeri Fazio) incontrano il governatore per «spingere» una fusione Unipol-Monte dei Paschi-Bnl.
Quel che se ne ricava è la ragionevole certezza che la politica abbia giocato in proprio la partita, per di più cercando di influenzare uno degli arbitri, Fazio, proteggendolo.
Ma le intercettazioni con i baci in fronte a Fiorani ci hanno liberato da Fazio. Chiunque comprende che non può essere questo il primato della politica. La politica legifera. Seleziona opzioni. Sceglie regole che possano modernizzare il Paese e renderlo capace di affrontare le sfide del futuro. A destra come sinistra sembrano, al contrario, non voler prendere atto che una politica che, nello stesso tempo, gioca, fa l’arbitro e legifera è una cattiva politica. Che scredita se stessa. E’ un colossale ed insopportabile conflitto di interessi, con gli stessi ruoli tra controllori e controllati.
Già in occasione della pubblicazione delle testimonianze di Stefano Ricucci, si ebbe la sensazione che, quasi a freddo, il ceto politico volesse rilanciare il conflitto fra sè e l’ordine giudiziario, la contrapposizione fra sè e informazione per aumentare l’allarme, sollevare polvere, star lontano dal nocciolo più autentico della questione: la corruzione trasversale e consociativa. Da questo punto di vista, se non fosse esistita, Clementina Forleo l’avrebbe dovuta creare la politica che dissente.
Ma con o senza la Forleo, non è agevole eliminare dal tavolo la questione morale. Quell’intrigo, che vede protagonisti intorno allo stesso tavolo Berlusconi e Romano Prodi, Massimo D’Alema e Gianni Letta con un poco nobile corteo di banchieri, arbitri faziosi, avventurieri della finanza, astuti nuovi imprenditori, dimostra ancora oggi la distanza tra i propositi dichiarati e i comportamenti reali; la separazione tra gli accordi in corridoio e i contrasti in pubblico. Da due anni si attende una parola trasparente e critica su quel pasticcio, un’assunzione di responsabilità, un impegno pubblico. Occorrerebbe una bella e piena confessione da parte dei responsabili. Chi può, in buona fede, giudicarla roba vecchia? E’ una questione attualissima, qualsiasi cosa decida di fare il Parlamento.
Appare dunque ingiustificato il ritornello che con Prodi, D’Alema, Fassino, anche Luciano Violante ripete: è roba vecchia, già nota e digerita. Nota sì, ma mai digerita: è utile ricordare che cosa è accaduto per scongiurare il rischio che si finisca di parlare soltanto di codici.
Una cosa va detta subito. La intricata vicenda di cui si occupa il giudice Clementina Forleo non riguarda solo alcuni illustri politici e palazzinari parvenu, ma milioni di cittadini ed extracomunitari in carne ed ossa, vittime delle nuove forme di corruzione, di “tangenti mascherate” da operazioni bancarie apparentemente lecite. Colpiti da colossali imbrogli sono gli ignari ed indifesi risparmiatori: milioni di lavoratori, pensionati, casalinghe che riversano nelle banche i pochi risparmi di una vita sperando di poterne fruire nel momento del bisogno; mentre criminali in colletti bianchi, politici e governanti, corrotti e senza pietà, provvedono a depredare i poveretti, facendolo in modo apparentemente legale. La grande rapina avviene in modo scientifico ed occulto: i cittadini si accorgono solo quando é troppo tardi che i loro magri risparmi si sono letteralmente eclissati, dileguati, volatilizzati, per rimpolpare i ricchi ed inaccessibili forzieri di politici senza scrupoli. Per questi crimini occorrerebbe la cacciata dei politici dal parlamento al primo indizio di colpevolezza, senza attendere la sentenza passata in giudicato. Ma rinfreschiamo la memoria per capire cosa é successo finora. Il giudice Forleo ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione a utilizzare intercettazioni telefoniche tra alcuni imputati di gravi delitti e potenti politici di maggioranza ed opposizione che insieme agivano in modo illecito per scalate sicuramente illegittime. E si sostiene da parte dei politici che queste telefonate non sono utilizzabili perché penalmente irrilevanti; non solo: il giudice Forleo avrebbe commesso degli abusi ai danni dei politici scrivendo cose offensive e non pertinenti. E’ una storia, quella dei lamenti dei politici colti con le mani nel sacco, che si ripete da molti anni.
Questa storia mi ricorda un episodio verificatosi ai primi anni settanta. Venuto a Roma, misi sotto controllo, su richiesta dell’allora colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, da Palermo, i telefoni di alcuni mafiosi come Gaetano Badalamenti e Frank Coppola, due padrini di Cosa Nostra mandati da politici corrotti al soggiorno obbligato a Roma; i mafiosi, per meglio gestire il traffico internazionale di eroina e cocaina, servendosi di una rete di macellerie appositamente aperte nella capitale, avevano avviato nel Lazio una serie di attività illecite: traffico di droga, riciclaggio del denaro sporco, corruzione di esponenti politici e potenti magistrati al vertice di importanti uffici giudiziari. Con l’incoscienza ed il coraggio che forse oggi non avrei, cominciai a raccogliere prove di gravi delitti sia nel campo della droga, sia nella speculazione edilizia sul litorale laziale, sia nella corruzione alla Regione Lazio, in cui Badalamenti ed il suo parente Natale Rimi riuscirono a fare entrare un paio di mafiosi.
Scoppiò uno scandalo enorme: io ed il pm Enrico Di Nicola, oggi a Bologna, andammo avanti senza riguardi per nessuno. Le prove erano nelle accuse di alcuni mafiosi ed in una serie di telefonate tra i mafiosi ed i politici democristiani che chiamavano e venivano chiamati, con mio sommo stupore, per scambi di favori: voti, denaro, licenze, concessioni, etc. Nello scandalo venne coinvolto anche il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Roma, Carmelo Spagnuolo, che parlava con Frank Coppola, informandolo delle “comunicazioni” in corso disposte dai magistrati, come qualche potente politico ha fatto di recente parlando con Giovanni Consorte.
Inviai un avviso di garanzia per favoreggiamento personale al Procuratore Generale su richiesta del pm di Di Nicola. Apriti cielo! Uno scandalo senza fine. La Commissione Antimafia aprì un’ inchiesta interrogando mafiosi, politici e magistrati; il partito comunista reagì con forza: volle sapere tutto sulle telefonate, su un magistrato, consulente dell’antimafia legato a Frank Coppola, cacciato via, sul Procuratore Generale Spagnuolo, piduista, che poi venne espulso dalla magistratura. Ed i politici democristiani dovettero subire questa ignominia per avere avuto conversazioni frequenti con i mafiosi: allora non esisteva ancora il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso introdotto da Pio La Torre. I due giovani magistrati Imposimato e Di Nicola furono protetti da una difesa insuperabile: la Costituzione Repubblicana, garante della indipendenza dei magistrati e della loro inamovibilità.
Anche allora noi non avevamo preso di mira i politici, ma i mafiosi, che parlavano con i politici, come i nuovi criminali oggi, intercettati dai vari Forleo e De Magistris, parlano con politici e governanti. E che colpa ne hanno i giudici? Dovrebbero forse interrompere i colloqui appena sentono fare il nome di un D’Alema o di un Berlusconi?
Nella vicenda del giudice Forleo le cose sono cambiate, in peggio rispetto al 1970. C’é sempre una magistratura indipendente e coraggiosa; ma non esiste una opposizione che denuncia le malefatte della maggioranza e difende lo stato di diritto: c’è invece un’alleanza consociativa che vede le due fazioni antagoniste fare scalate insieme in violazione della legge ed in danno di milioni di risparmiatori, che non hanno voce, non hanno stampa, radio e tivvù. E non possono difendersi come vorrebbero; in loro difesa scende Beppe Grillo, coraggioso e efficace, ma troppo solo. E lo si accusa di antipolitica mentre vuole una politica pulita, in grado di rinnovarsi.
Nelle inchieste della Forleo mancano i classici reati di corruzione che venivano commessi con la consegna di mazzette. Oggi i ladri di Stato si sono attrezzati meglio: rubano con la copertura o nell’assenza delle leggi e di coloro che dovrebbero controllare, che poi sono complici di quelli che rubano e rapinano. La nuova corruzione ha assunto forme più sofisticate e pericolose. A dominare la scena sono delitti dai nomi strani ma reali e devastanti: l’insider trading e l’aggiotaggio. Il primo consiste nell’abuso d’informazioni privilegiate, da parte di chi ne dispone quale azionista o controllore, per operazioni speculative. Ad esempio il governatore Bankitalia sa che le azioni della Bnl subiranno un calo e informa i suoi amici azionisti: prima vengono gonfiate con operazioni fraudolente e poi vendute a poveri risparmiatori ignari che comprano beni di valore apparentemente in crescita destinati invece alla svalutazione. O, per fare altri esempi, il presidente o il vicepresidente del Consiglio, informati per ragioni del loro mestiere che le azioni saliranno di valore, le acquistano o, quasi sempre, le fanno acquistare da amici e prestanomi per operazioni speculative, sempre in danno di risparmiatori che non dispongono delle stesse informazioni. L’aggiotaggio consiste nel diffondere notizie false o tendenziose per alterare il prezzo di azioni o obbligazioni facendolo abbassare o aumentare secondo la propria convenienza o quella di amici interessati a vendere o a comprare; i famosi “capitani coraggiosi” che si é scoperto essere grandi truffatori e tangentisti.
Le tangenti, come sempre, si mimetizzano da anni dietro la parola magica “consulenze”; sicché esperti del nulla, ignoranti paurosi, percepiscono anche 54 milioni di euro (110 miliardi di vecchie lire) per consulenze che non esistono. Basta leggere ciò che accadde per il gigantesco affare Telecom che incendiò il mondo finanziario del 2001. Per l’operazione che portò Marco Tronchetti Provera con la Pirelli ad acquistare l’azienda leader, la Hopa di Emilio Gnutti pagò consulenze d’oro. Nella documentazione che accompagnò la richiesta, da parte della Procura di Milano, di documenti bancari al Procuratore di Montecarlo, c’é la conferma che a Giovanni Consorte e a Ivano Sacchetti, ex amministratore delegato di Unipol e suo vice, la Hopa di Gnutti girò circa 54 milioni di euro tra il 2001 ed il 2005. Disse Gnutti al magistrato: «Consorte mi presentava il conto, nel senso che chiedeva operazioni con le quali guadagnare a latere». Ai due andarono, in quella solo occasione, cinque milioni di euro «dopo la definizione della trattativa con Tronchetti Provera». Gnutti però confessò che se i due non gli avessero chiesto soldi direttamente, non ufficialmente, ma «mentre scendevo le scale al termine di una riunione», lui non glieli avrebbe certo dati.
Domanda: ma se erano consulenze, perché chiedere dieci miliardi in questo modo subdolo e occulto? O si pensa che siamo tutti cretini e non capiamo che si trattava di tangenti, qualificabili come delitti di concussione? E chi c’era dietro Consorte e Sacchetti se non un politico che aveva guidato e appoggiato tutta l’operazione? Che poi si risolse in un’altra truffa agli azionisti, tra cui Beppe Grillo?
DALLA LUPARA AL DILEGGIO
Un tempo delitti di minore gravità portarono in carcere decine di persone per fatti molto meno gravi e anche per poche lire: dieci miliardi invece non sono stati sufficienti a giustificare la galera. Gli stessi consulenti del nulla possono realizzare guadagni indebiti - le famose plusvalenze - stravolgendo le regole del mercato. Vittime di questo commercio sono sempre gli ignari risparmiatori che vedono vanificati i risparmi di una vita. Ora, i politici sorpresi con le mani nella marmellata come sospetti sostenitori di scalate illecite si dicono «sdegnati»; ricorrono al lessico tipico dei ladri della passata prima repubblica: monnezza, spazzatura. A quei ladri della Prima Repubblica non portò bene tale difesa. Essi, oggi, hanno il vantaggio di una stampa servile e di una televisione silente e vile. Essi rivolgono al giudice Forleo le accuse più ignobili, dopo aver cercato di blandirla in molti modi. E poiché il giudice non ha ceduto, si é fatto ricorso all’aggressione mediatica. Un metodo che usava spesso Frank Coppola: dapprima cercava di corrompere giudici e politici; e i resistenti venivano colpiti con la lupara. Oggi la lupara é sostituita dal dileggio a mezzo stampa.
E in questa opera, agiscono anche ex giudici prestigiosi di Mani pulite come Gerardo D’Ambrosio e Felice Casson passati al servizio dei governanti, nella speranza di «un sorriso benigno e promettente» e di qualche riconferma. E si dice che il metodo usato é stato illecito; e che le telefonate fatte dai vari politici ai protagonisti delle scalate illecite, cioé dei delitti, sono «penalmente irrilevanti». I vari Consorte, Sacchetti e Cimbri erano raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per avere compiuto aggiotaggio manipolativo ed informativo: che significa? Semplice: d’accordo con Gianpiero Fiorani e Gianfranco Boni, avevano acquistato le azioni dei contropattisti Francesco Gaetano Caltagirone, Vito Bonsignore, Stefano Ricucci, e Danilo Coppola, Statuto, Lonati e Grazioli, e ponevano in essere una serie di azioni idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni ordinarie Bnl.
Qui bisognerebbe soffermarsi su ognuno di questi signori, per capire quale é stato l’ambiente del delitto. Se si leggono le ordinanze della Forleo, si capisce che le prove delle accuse contro gli scalatori non sono solo le intercettazioni, ma una serie di operazioni illecite, documenti bancari, confessioni di alcuni dei protagonisti di questa storia, chiamate di correo e, infine, le telefonate tra i politici e gli indiziati dei delitti. Le quali non calano dall’alto dei cieli come cavoli a merenda, ma si inseriscono logicamente in un contesto molto chiaro e preciso.
L'INTERESSE DEI CONFLITTI
I politici, il vertice della Banca d’Italia, i governanti, legati in un intreccio di relazioni affaristiche, anziché agire come arbitri imparziali delle leggi, versano in palese conflitto d’interessi: nel varare leggi o provvedimenti governativi, agiscono per favorire se stessi o amici cari o riciclatori di denaro sporco, come é nel caso delle scalate Unipol. Ed è questo il punto: ciò accade a causa dell’assenza di regole certe nella miriade di conflitti d’interessi. Che nessuno ha “interesse” a fare, per evitare che esse siano applicate dai giudici.
In soccorso dei predatori è intervenuta la depenalizzazione, nel 1990, dell’interesse privato in atti di ufficio (ex articolo 324 del codice di procedura penale): ciò ha favorito vecchie e nuove forme di corruzione. E’ stato come se uno avesse depenalizzato il delitto di rapina o di corruzione. Ed ormai dilagano i conflitti di molti protagonisti di questa commedia degli inganni: la situazione “legale” in cui viene a trovarsi un governante, un amministratore, un banchiere, un politico o un giudice, che anziché fare l’interesse dei cittadini nella sua attività istituzionale, cura l’interesse privato suo o di amici e prestanomi. Esso viola l’articolo 97 della Costituzione che impone alla pubblica amministrazione i principi di buon andamento e imparzialità. Viola anche codici deontologici. Ma non il codice penale. Il conflitto di interessi é il principale strumento di corruzione ed il motivo ispiratore di molte leggi. Un cancro che affligge la politica e le istituzioni pubbliche e private da decenni. E non si riesce a debellare. Perché chi dovrebbe debellarlo non ha interesse a farlo. La legislazione varata in questi anni dal centro destra va nella direzione opposta. Ma anche il centrosinistra non ha fatto nulla per risolverlo. Versa in situazione di conflitto anche la cooperazione la cui funzione sociale dovrebbe essere svolta «con carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata» (articolo 45 della Costituzione). Al contrario di quello che è accaduto con l’Unipol e la sua scalata.
Quasi sotto silenzio passò una notizia del Sole 24 Ore ripresa dal Corsera del 31 dicembre 2005 sul probabile riciclaggio di capitali mafiosi nelle scalate bancarie. Si leggeva che nel giro di persone di Danilo Coppola, che la Guardia di Finanza ritiene popolato di prestanomi, spicca Roberto Repaci, presidente dell’ordine dei commercialisti di Palmi. Il fatto apparve significativo perché il nome di Repaci era apparso in più di una indagine. Era stato indicato come commercialista del clan Piromalli. Coppola venne arrestato per riciclaggio. Secondo le Fiamme gialle, uno degli immobiliaristi più ricchi d’Italia, con una ragnatela di società in tutto il mondo, coinvolto come “concertista” nell’operazione Antonveneta, titolare di azioni Bnl poi cedute ad Unipol in vista della scalata alla banca romana, avrebbe utilizzato come consulente uno dei personaggi responsabili di riciclaggio del denaro proveniente dal clan calabrese dei Piromalli. A questi l’immobiliarista avrebbe lasciato il compito di gestire il contatto con gli istituti di credito per le scalate. Un altro “consulente” dell’immobiliarista avrebbe compiuto un’ennesima operazione di investimento “in concerto” con un prestanome del cassiere della Banda della Magliana. Cioè con Cosa Nostra. E gli scalatori non sapevano niente di tutto questo?
LA COLPA? E' DI CHI INDAGA
Anziché essere grata ai giudici Forleo e De Magistris, la classe dirigente di maggioranza e opposizione, che ormai da trenta anni opprime il paese, persegue lo stesso obiettivo strategico: colpire la magistratura a suon di delegittimazione, contro toghe colpevoli di avere messo il coltello nella piaga purulenta della nuova corruzione che tocca i vertici del centro sinistra e della destra. Ma in questo caso l’azione di delegittimazione é più difficile: non si può gridare più alle toghe rosse o nere, stante la trasversalità dei fatti corruttivi. I magistrati hanno applicato rigorosamente la legge e il principio cardine che «la legge é uguale per tutti». Comunque, anche stavolta siamo in presenza di un clamoroso caso di conflitto: coloro che hanno partecipato alle scalate dovrebbero votare sulla rilevanza penale della conversazioni. Cioè su se stessi: lo faranno? Per ora cercano di condizionare il parlamento con memorie risibili firmate anche da un legale che aveva denunciato proprio quelle scalate: Guido Rossi. Altro conflitto di interessi: può il denunciante diventare difensore del denunciato? Non lo so, ma resto perplesso!
Non é più tollerabile l’attacco alla magistratura, in persona di Clementina Forleo e di Luigi De Magistris, che hanno avuto il merito di applicare il principio che la legge é e resta eguale per tutti, con ordinanze che la Costituzione vuole motivate; supplendo alla inerzia del pm, così come vuole il codice di procedura penale. Si vorrebbe criminalizzare la Forleo con accuse prive di fondamento: quella che non avrebbe potuto e dovuto sostituirsi allo stesso pm nel formulare l’accusa. La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che il Giudice per le Indagini Preliminari ha non solo il potere ma il dovere di controllare il Pubblico Ministero nel corretto esercizio dell’azione penale. Può accadere, ed accade più spesso di quanto non si possa immaginare, che il pm non eserciti l’azione penale o la eserciti in maniera incompleta anche in presenza di prove o indizi gravi precisi e concordanti, quali quelli indicati nelle ordinanze della Forleo. Se un politico corrotto non viene incriminato dal pm, é il gip che deve obbligarlo a farlo.
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